Ma la grazia. Tutti gli uomini ce l’hanno. Tranne me. Al Tram di Napoli
“I slip away I slipped on a little white lie”
Kid A (Radiohead)
Per la prima volta esco dal teatro con una gran voglia di uscire dal teatro, di prendere aria, di respirare, di aprire i polmoni e far entrare quanto più ossigeno possibile fino a morirne, morire di spazio, di orizzonti e di cielo sopra di me, tutto attorno a me. Tutta colpa di Michelangelo Zeno e del senso claustrofobico che mi porto dentro dopo aver visto MALAGRAZIA al Tram di Napoli. Con tutti i sensi spalancati pronto a voler tornare fuori tra le persone, mi ritrovo a cercare negli altri uno sguardo di comprensione come un ossesso, senza nessun garbo, senza nessuna grazia. E all’inizio ci riesco, rido, scherzo, incontro amici e mi intrattengo in piacevoli conversazioni. Ma c’è qualcosa di strano, continuo con la mente a tornare in teatro. Vedo farfalle danzare. Non capisco più dove sta la verità, dove è l’illusione, chi ho davanti a me. Chiudo gli occhi, apro gli occhi e mi ritrovo di nuovo al buio, in un bunker, ma potrebbe essere una tranquilla camera da letto.
Le grand cahier 1
Sul palco ci sono due fratelli (Edoardo Barone e Daniele Fedeli) che potrebbero essere gemelli , ma potrebbero essere tranquillamente due amanti, un marito e una moglie, un padre e una madre, una sola persona davanti a uno specchio distorto. Potrei essere io quella persona, quando da ragazzino non volevo fare la barba perché se tagli la barba quella ricresce, per far crescere la barba te la devi tagliare ma “che mi taglio se non ce l ho?”. Ci sono le nostre radici, i nostri ricordi le nostre speranze stasera rappresentate e messe in scena da Giuseppe Isgrò del gruppo teatrale Phoebe Zeitgeist. Stiamo parlando della nostra vita e della nostra esperienza come esseri umani, della paura di crescere e del crescere senza paura. Delle esperienze di due ragazzini, della scoperta della morte, alzi la mano chi da bambino non uccideva le mosche. Noi da piccoli giocavamo anche con le ali delle farfalle, fino a non farle volare più, sono i primi inevitabili approcci con la vita.
Le grand cahier 2
Il Tram questa volta è una gabbia dove i due attori, ma potrebbero tranquillamente essere uno solo o doppio, si muovono dettando i tempi con tacchi possenti, con passi pesanti. C’è una dimensione onirica in tutto questo come di frasi e situazioni sparse raccontate pescando a caso e messe in fila una dopo l’altra. Perché questa è la vita, la scoperta del sesso con tutto il suo carico animale e l’amore quello puro; la morte dei nostri genitori, i sensi di colpa, il rapporto con gli altri. Nessun uomo è un’isola diceva qualcuno, ma se fossimo tutte isole? Queste e tante altre domande sembrano porsi gli attori.
Le grand cahier 3
Dopo un’ora trascorsa con Melo e Bastaniu mi rendo conto che Malagrazia è la nostra isola, il nostro riparo dalle brutture del mondo, dove tutto è possibile e la verità e l’illusione si intrecciano a formare una corda dove poterci ancora aggrappare. E, come nel tiro alla fune, i due protagonisti si scontrano e si rincorrono in uno scambio continuo delle parti. Una danza, quella della vita, dettata dal suono del mondo, un suono devastato e devastante, a opera di Stefano de Ponti, che i due protagonisti riescono a tratti a governare, a controllare, a regolare assecondando le proprie esigenze, le proprie voglie. Come viaggiatori proveranno a ballare su queste note stridenti perché in fondo è quello che ognuno di noi prova a fare tutti i giorni, ballare cercando di andare a tempo per non sembrare troppo goffi. E se proprio non dovessimo riuscirci almeno stiamo in piedi comunque. Tanto poi alla fine, come in tutte le cose, l’importante non è cantare bene ma cantare.
Il testo MALAGRAZIA, con una prefazione di Diego Vincenti, è pubblicato nella collana di drammaturgia contemporanea Teatri di Carta diretta da Emanuele Tirelli per Caracò Editore.
Antonio Conte
Disegni di Antonio Conte