M¥SS KETA e la dialettica del baratro: il nuovo disco conferma le aspettative
Martedì 10 novembre, ore 12. Di persona non ci si può vedere quindi la conferenza stampa è su Zoom. Connessa dalla Torre Galfa di Milano, M¥SS KETA ci parla del suo nuovo disco, Il cielo non è un limite, che esce oggi. Sette testi che raccontano lo scenario contemporaneo visto dalla prospettiva di un grande palazzo di vetro e acciaio. Ci spiega che ha voluto raffigurare l’infinità del cielo per contrapporla all’interiorità senza limiti che è insita in ognuno di noi: è tutta una questione di spazi… e dunque ecco il volo di un aereo supersonico, di un angelo metallico, di una donna alipede. Sette tracce dove l’aria s’interseca all’estetica della playstation 1 per plasmare un disco senza limiti, istintivo; uno sfogo da clubber nel momento in cui nei clubs non ci si può andare. Ci sono la jungle, e la house, meneghinamente recitate come al solito. C’è la discoteca declinata a misura d’appartamento: non si può andare a ballare, ma le atmosfere stroboscopiche possono essere ricreate in cucina, in salotto, in bagno. Dice di aver trovato l’ispirazione in Nuova Era Oscura di James Bridle, nei libri di J.C. Ballard, nei film di David Cronenberg…
Ci spiega tutto questo, la Myss – frisé anni Ottanta e maschera d’ordinanza – riferendo di sé stessa in terza persona: sempre rispettosa del suo personaggio, egocentrica ma poi pluralista, e infine rigorosamente burlesca. Caricaturale, esuberante, improbabile. Può piacere come non piacere, può persino infastidire, però le va riconosciuta la capacità di narrare una parte fattuale della realtà, che consta di ipocrisie e appariscenze, abissi e superficialità, dove il divertissement è solo la facciata tesa di una società dilaniata che in realtà sta chiedendo aiuto, disperata. Mancano i riferimenti, mancano le relazioni: ci rimane solo quel tetro contesto post-contemporaneo, post-artistico, post-televisivo; un dopo talmente dopo che ha fatto il giro su sé stesso ed è tornato indietro. E ora vallo a ripescare, se ti riesce. Oppure arrenditi e soccombi come tutti gli altri, piangi e balla fino all’estinzione, scherza e concediti, ridi e rassegnati. Per dirla in due parole, Myss Keta ci mette davanti al nostro stesso baratro, come riconobbe abilmente Nicola Savino quando ad aprile 2019 la intervistò assieme a Linus su Radio Deejay. E infatti noi le abbiamo chiesto se anche in questo nuovo disco conferma di voler portare avanti questa dialettica del vuoto sociale e ormai anche cosmico ma più che altro culturale. Chiaramente, la risposta non ci ha delusi: Quella dialettica del baratro, e del dolore, va portata avanti inevitabilmente. È una tradizione che parte dal videoclip del Burqa di Gucci e arriva fino a qui, al presente, anche a distanza di anni. In questo nuovo EP poi ci sono canzoni come Rider bitch, dove magari mi esprimo in maniera più sottile sull’argomento, però non potrei mai abbandonare quella narrazione, perché fa parte del contemporaneo disperato nel quale siamo immersi tutti quanti. Certo, qua come in passato affronto la situazione in maniera massimalista, quindi probabilmente bisogna prestare attenzione per notarlo, ma una volta che te ne accorgi capisci che molto di quello che voglio dire è riconducibile a quella logica, appunto, del baratro per come lo intendeva Savino.
E difatti, dopo un’introduzione programmatica in forma di dedica, si passa a Giovanna Hardcore, che non ha bisogno di presentazioni perché tutti l’abbiamo già sentita e vista nei giorni passati. Ma poi ci sono: GMBH, dove le pudenda diventano delle società a responsabilità limitata; Rider bitch, la vita di una fanciulla che per vivere consegna pasti a domicilio ed esperisce tutta l’alienazione del capitalismo d’asporto; Photoshock, quando la follia si sposta sulle passerelle dell’alta moda; e poi Diana, dove l’antica Grecia si attualizza perdendo tutta la sua allure. Infine, Due: un ballabile delirio porno-elettronico, un climax sintetico sempre più accelerato, sempre più impetuoso e velocista, come un videogioco a scorrimento, un’avventura dal finale prevedibile, enigmatico solo se si sceglie di ignorare l’evidente riferimento al turbocapitalismo psichico che sempre di più ci opprime. Nulla di nuovo sul fronte, insomma: Myss Keta continua ad occuparsi del suo ambito, come lei stessa ci conferma. Però in fin dei conti è divertente, tragicomica, orecchiabile; e si percepiscono l’impegno e la dedizione con cui è stato realizzato il disco, che per queste ragioni val bene un ascolto.
Davide Maria Azzarello
Fotografia di Dario Pigato
https://www.instagram.com/myss.keta/