“L’UOMO PALLONCINO”A CAMPO TEATRALE DI MILANO
Il viaggio drammaticamente divertente di un giovane animatore costretto a “dare il cinque” al ritmo perverso della babydance
“L’Uomo Palloncino” – che abbiamo visto in scena a Campo Teatrale di Milano – racconta la turbinosa storia di un giovane animatore venticinquenne (Emile, interpretato da un assai più che convincente Tomas Leardini) alle prese con un mondo popolato di strane creature, alcune grandi e molte piccole o piccolissime, e orwellianamente controllato da entità superiori invisibili agli umani: il Miniclub. In questa Mini Società, segmentata e organizzata in diversi livelli secondo l’età dei suoi diabolici giovani abitanti, la religione imperante è il divertimento a tutti i costi, e colui che sembrerebbe rappresentarne l’autorità, cioè l’animatore, ne è invece la vittima sacrificale. Emile è la “carne” schiacciata in mezzo al panino: da una parte le vessazioni di piccoli mostri che, approfittando della loro sacralità, abusano a piacimento dell’orsacchiotto in “carne” e ossa messo loro a disposizione; dall’altra, i ricatti dell’Autorità massima, il Capoanimatore, figura da leggenda che dall’alto domina e controlla che le assurde regole che sorreggono questo Leviatano vengano rispettate. Come in “The Lobster”, infatti, chi le trasgredisce rischia di diventare, come i “solitari” costretti a vagare terrorizzati nei boschi del film, la possibile preda di orde di mocciosi, ma non per ciò meno crudeli, cacciatori. È questa la sorte, inevitabile, di chi essendosi ribellato viene tramutato in Uomo Palloncino.
La divertente drammaticità di questa storia paradossale è opera di Giulia Lombezzi, che ne firma scrittura e regia. Per quanto riguarda la prima, cioè la scrittura, è sicuramente da apprezzare la brysoniana capacità di descrivere efficacemente attraverso un caustico humour un universo intero, quello dei divertimentifici forzati rappresentati dai Villaggi Vacanze. Come il David Foster Wallace di “Una cosa divertente che non farò mai più”, infatti, Emile ci descrive dal suo punto di vista un mondo da noi forse mai immaginato. In più, il protagonista cerca in qualche modo di integrarsi in questa società aliena, di sposarne gli assurdi “valori” o quantomeno di adattarsi alle sue regole. Tutto, anche se con immensa fatica, sembra funzionare, finché… Ma niente spoiler!
Da apprezzare l’essenzialità della regia, sempre più marcata nel corso dello sviluppo di questo spettacolo. Il bravissimo Tomas Leardini, protagonista assoluto sulla scena, risulta molto efficace nell’evocarci di continuo nuove immagini e personaggi che, anche se non presenti in scena, ci sembra di vedere. Anche la scelta di divinizzare il Capoanimatore-Megadirettore Galattico di “Villaggesca” memoria ha il pregio di comunicarci perfettamente il disagio fantozziano di chi si trova a fare i conti con una società di cui, per quanto si sforzi, non riesce a condividere i valori.
Una nota sulla risposta del pubblico: fragorose, a volte fino alle lacrime, le risate; forse soprattutto da parte di quello maschile, a volte più propenso a non entrare eccessivamente in empatia con le paradossali sofferenze del protagonista. Parafrasando una famosa citazione di Walter Fontana: “Il Miniclub è quel posto dove persone adulte subiscono traumi infantili. Laddove ci sono traumi infantili su bambini siamo in asilo, dove ci sono traumi di adulti su adulti siamo in carcere. Quindi il Miniclub è il gioioso punto d’incontro tra carcere e asilo.” Complimenti Tomas Leardini e Giulia Lombezzi: “dateci il cinque”!I
Alessandro Bizzotto