“L’uomo che voleva comprare il linguaggio” di Pascal Chabot
“L’uomo che voleva comprare il linguaggio” di Pascal Chabot (Castelvecchi, Roma 2019, pp. 55, euro 9,50) ha come scenario l’aeroporto di un’isola sulla quale imperversa un violento uragano che cancella tutti i voli. Bloccati in una sala d’attesa pericolante, si ritrovano inaspettatamente e dialogano due ex amanti, ancora uniti dal comune interesse per il linguaggio. Il retroterra filosofico del dialogo è molto impegnativo perché chiama in causa alcuni dei massimi esponenti della “svolta linguistica” novecentesca: Austin e Searle con la teoria degli atti linguistici o atti performativi e il Wittgenstein (apparentemente) neopositivista del Tractatus e della corrispondenza univoca tra fatti e proposizioni. La corrispondenza fatti/proposizioni è una variante o innovazione linguistica della corrispondenza fra percezioni e oggetti dell’empirismo inglese. Gli esiti finali di questa dottrina avevano sostituito gli oggetti con le percezioni (Hume), ovvero affermato che le percezioni creano gli oggetti (Berkeley). La teoria performativa “allargata” dice qualcosa di simile, asserendo che le proposizioni creano i fatti.
Jason/Cratilo, uno dei due dialoganti, legge Wittgenstein attraverso la lente di Austin e Searle, e ha pensato bene di sfruttare economicamente le potenzialità di questa scoperta. Con l’aiuto di alcuni informatici filippini, ha elaborato un algoritmo che permetterà la vendita di “pacchetti-parole” particolarmente sofisticati. Questi pacchetti, nell’epoca della distruzione della privacy, utilizzeranno l’intero contenuto di informazioni sui gusti e le aspettative del singolo, ricavati dai vari social pullulanti nel Web, per fornire al compratore le parole-chiave da dire ai robot (che sostituiranno ogni addetto umano ai servizi) per ottenere le “cose” che essi desiderano. Tutto questo, ovviamente, produrrà fiumi di denaro per Jason/Cratilo, un filosofo frustrato che cerca di dimostrare al mondo, come già Talete a suo tempo, che anche la filosofia può farti diventare ricco. Diana, la sua ex amante, è una donna idealisticamente legata al valore autonomo ed evocativo, soprattutto poetico, del linguaggio (difficile non pensare ad Heidegger o agli esiti finali di Le parole e le cose di Foucault), ed è inorridita dalla sua trasformazione in mezzo per sollecitare i robot a fornirti le futili “cose” di una società dei consumi totalmente informatizzata. Approfittando del crollo di una parte del soffitto sulla testa di Jason, attraverso il suo computer divulga la scoperta e sparge il prezioso algoritmo ai quattro angoli del Web, rendendolo inoffensivo. Ridestatosi dallo svenimento, Jason protesta vivamente, ma poi Diana lo convince di avere agito per il meglio, restituendo umanità a un mondo in pericolo di disumanizzazione e di isolamento reciproco. Finché, in una sorta di happy end, i due sembrano tornare insieme.
Breve ma denso, il lavoro del filosofo belga Pascal Chabot è una sottile e ironica critica della società contemporanea, che nel contempo mette molta, forse anche troppa, carne al fuoco. Ciascuno dei temi emergenti dal dialogo fra i due rinvia a intere biblioteche di filosofia, cominciando dal soprannome inventato da Diana, Cratilo, che evoca il famoso dialogo platonico sul linguaggio. Ma non possiamo dimenticare la grammatica e la linguistica stoica, che avevano già esaminato al meglio molti problemi del Linguistic Turn. E poi, al seguito, tutti gli autori che in epoca contemporanea hanno affrontato temi analoghi. La cosa più apprezzabile del lavoro è in effetti il tentativo di lettura del mondo informatico e della robotizzazione in chiave filosofica. Esso dimostra, nonostante quello che si pensa, che la filosofia, come gli dèi dell’antica Grecia, la puoi trovare dappertutto.
Luciano Albanese