“Luciano” – L’inquietudine della nostra follia dipinta da Danio Manfredini
“Luciano vive i suoi giorni come una foglia spinta qui e là dal vento della coscienza e crea una sua realtà.” Danio Manfredini
“Perché sono ancora qui?”
È questa la domanda che Luciano, personaggio realmente esistito che ha attraversato e segnato la vita di Danio Manfredini nella sua esperienza ultra decennale come operatore in un Ospedale Psichiatrico, si pone a un certo punto dello spettacolo. È una “realtà irreale” la sua, un piccolo inquietante teatro fatto dei fantasmi che popolano la sua mente e con le loro voci tormentano il suo cervello: sono corpi e sono maschere, interpretate dai bravissimi Ivano Bruner, Cristian Conti, Vincenzo Del Prete, Darioush Forooghi e Giuseppe Semeraro.
Danio Manfredini è, prima di tutto, un pittore. Lo è davvero, e la sua capacità di dipingere sul palcoscenico i “non luoghi”, i questo caso ciò che il suo Luciano vede, vive, soffre, è perciò come sempre stupefacente. Il palcoscenico, la sua tela, è attraversato da pennellate a tratti feroci e violente a altre volte volutamente incerte e biascicate come la voce del suo protagonista. La sua vera malattia, come dice lui stesso, è l’insicurezza. Ha ragione lui. Non è forse anche la nostra vera malattia, l’insicurezza (“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”)?
“Perché sono ancora qui?” La morte aleggia sullo spettacolo come sulla nostra vita. La sentiamo, e a un certo punto possiamo anche vederla girare su un monociclo e attraversare vorticosamente il palcoscenico insieme a tutti i personaggi che popolano la mente di Luciano. Lo spettacolo è anche e soprattutto una lunga processione funebre (come la “Classe Morta” di Tadeusz Kantor che, come Danio Manfredini sempre racconta, fu lo spettacolo che lo folgorò e lo convinse a dedicare la sua vita al Teatro), il funerale in vita di una coscienza che vaga tormentata sulla scena caricandosi di pensieri, visioni, e forse anche delle colpe dell’umanità intera.
Nel suo delirio Luciano è dolce, delicato, talvolta esilarante, tragico e comico allo stesso tempo, ma soprattutto pieno di dubbi e di domande; incarna la radice, l’essenza stessa del Teatro: anche quando ripete a memoria, e quindi replica, non può fare a meno di deformare, apparentemente sbagliare, comunque modificare e porsi continuamente un dubbio enorme, pesantissimo, che ci accomuna a lui: “Perché sono ancora qui?”
In scena fino al 26 maggio al Teatro Elfo Puccini di Milano.
A.B.