Luca Morino tra le Langhe e l’Arizona
“Dewest – deserti immaginari per lupi solitari”. S’intitola così la performance che sabato 14 novembre è andata in onda dal Café Müller. Come per Oricco due settimane fa, l’unica formula che il teatro ha potuto proporre è quella dello streaming. La piattaforma individuata è Nice: molto funzionale, facillima da capire, il che ci piace. E poi gli spettacoli rimangono nel database e possono essere acquistati e guardati quando si vuole. Delle limitatezze estetiche ed esperienziali di questa soluzione si è già ampiamente disquisito, quindi (posto che sono inevitabili) non possiamo far altro che complimentarci col Café Müller per la tenacia e passare dunque ad un’analisi il più accurata possibile di quanto accaduto in questo specifico incontro virtuale.
Sul palco c’è Luca Morino, torinese classe 1962 che alcuni di noi magari conoscono come leader dei Mau Mau. Gilet di lana senza una camicia sotto, foulard cachi abbinato, jeans sdruciti; Morino presenta Dewest come un progetto lontano, nello spaziotempo, dalla realtà stessa. Un lavoro che tenta di imboccare la strada opposta rispetto alla superficialità e alla falsa cultura. Un concerto dove il suono prevale sulla musica: spiega che ad ispirarlo sono stati Ennio Morricone, Riz Ortolani, Egisto Macchi; che in quest’esperimento convergono le armoniche riverberate, gli organi, le campane ma poi anche le chitarre elettriche. A guidarlo, le foto di Dorothea Lange che celebrarono l’epopea della provincia americana della prima metà del ‘900. Da qui, con un salto audace o forse impertinente, l’effimero mito italiota degli spaghetti western; Sergio Leone, Corbucci… ma poi, perché no? Anche Tex Willer, il Don Chisciotte di Terry Gilliam e il realismo magico di García Márquez.
Poi si inizia. Morino fischia, canticchia nel palato per qualche minuto. Un vocalizzo, una mosca che ronza nel microfono, un gong, un filtro elettronico, poi la sua voce. Il brano iniziale è molto convincente: si parla di un viaggio da Torino al basso Piemonte, quando uscendo a Marene si arriva poi fino a Barbaresco e oltre. Il Tanaro, Cesare Pavese, castelli austeri, Pinot-Gallizio e tutta la pittura langarola del secondo novecento. Fenoglio, la resistenza, i turisti tedeschi, l’uva, la Nutella… e in questa baraonda ordinata, all’improvviso, come in un quadro metafisico, Morino cuce un cowboy e ne discetta in piemontese, in un calmo delirio sabaudo e poi anche arizoniano. Divertente, dai. Praticamente: un viaggio che celebra l’intrinseco pluralismo dei nostri milieus, che possono spaziare in lungo e in largo anche in maniera improbabile; una peregrinazione cantata che esemplifica la superiorità dello spostamento rispetto al punto d’arrivo. Dopodiché si riparte: una chitarra, un secondo testo parlato, poi anche cantato, però in spagnolo… ah no è italiano… poi la pianola. E così via.
N.B.: con la presente, cogliamo l’occasione per ricordarvi che la stagione del Café Müller continua integralmente attraverso lo streaming. Qui trovate la stagione. I biglietti sono davvero economici, e gli artisti meritano, quindi lasciamo che il teatro sopravviva almeno nelle nostre case, se possiamo.
Davide Maria Azzarello