“L’occasione” – La condizione umana raccontata da Saer
Il nome di Juan José Saer ci trasporta immediatamente in un luogo. Quel luogo, l’Argentina, dove la pampa fa da sfondo alle linee armoniche di un nome scritto che identifica Bianco. Ed è Bianco – anche se in passato è stato chiamato anche con altri nomi – il protagonista di questo libro di Saer, “L’occasione” (La Nuova Frontiera, pp. 208, euro 16,90, traduzione di Gina Maneri).
La storia
Sono gli ultimi decenti dell’800, Bianco è un mentalista, un illusionista in grado di leggere le menti, di cui non conosciamo bene la provenienza e che, a causa della cospirazione dei positivisti che lo ha posto dinnanzi a una umiliazione pubblica, è costretto ad abbandonare Parigi per cercare rifugio prima in Italia, dove avrà la grande occasione di partire per l’Argentina e di ritirarsi in un rancho nei dintorni di Buenos Aires, lì dove la vastità della pianura diviene una metafora della condizione stessa dell’uomo.
“Quando, sei anni prima, una settimana dopo essere sbarcato nel paese, l’ha vista per la prima volta nei dintorni di Buenos Aires, gli è parso quasi subito che per la sua monotonia silenziosa e deserta la pianura fosse un luogo propizio ai pensieri, non quelli rossicci e ruvidi, del colore dei suoi capelli, che ha ora, ma soprattutto quelli levigati, incolori, che incastrandosi gli uni negli altri in costruzioni inalterabili e traslucide, gli sarebbero serviti a liberare la specie umana dalla schiavitù della materia”.
Ossessione senza scampo
È qui che conoscerà Garay López e la sedicenne Gina, di molti anni più giovane di lui, che diventerà presto sua moglie. Finché un giorno Bianco li trova insieme, Garay López e Gina, nella sua casa mentre lei aspira piacevolmente un sigaro e lui la ascolta con uno strano sguardo disegnato sul viso.
“Per una frazione di secondo, Bianco rimane immobile, la mano destra sul pomo della porta, nella sinistra la borsa di cuoio, mentre sul viso fradicio sente il promo soffio d’aria della stanza riscaldata dal fuoco del camino, e i muscoli che si tendono un poco per non tradire il tumulto che gli monta dentro e preme nei recessi della mente, dubbio, odio, disperazione, disprezzo per sé stesso, rabbia, sconforto e violenza…”
Cominciano così sospetti e gelosie che si amplificheranno durante l’attesa del primo figlio per Gina e che faranno entrare Bianco in un vortice senza fine di deliri e ossessioni che non avrà mai il coraggio di ammettere o approfondire.
Le immagini di Saer
Ci riempie di dettagli Saer. Ogni paesaggio è in grado di ricomporsi perfettamente nella nostra mente, e lo stesso accade per ogni movimento,
“…mentre guarda Garay López aprire l’orologio, controllare l’ora, portarsi l’orologio all’orecchio, scuoterlo diverse volte cercando di sentire il tic-tac, caricarlo e riportarselo all’orecchio continuando ad agitarlo per poi, con aria rassegnata, accingersi a riporlo in tasc …”.
Ogni periodo è ricco di densità poetica che diventa descrizione della stessa realtà, di un presente legato inevitabilmente a un passato sigillato e sconosciuto, di cui Bianco immagina incessantemente la verità, senza mai esserne certo, senza fermare la sua ossessione nemmeno davanti a un letto di morte. Di chi è il figlio nel ventre di Gina? Un cerchio che non si chiude, che lascia il lettore in attesa di una confessione che non arriverà o che forse è lì evidente davanti agli occhi di tutti, chiusa nell’immagine ossessiva di una giovane donna che “con gli occhi socchiusi e un’espressione di piacere intenso” fuma un grosso sigaro” e un uomo che “le sta parlando con un sorriso malevolo”.
Marianna Zito