Lo Zeno di Alessandro Haber al Teatro Carignano di Torino
…e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie. L’ordigno esploderà, l’ordigno è già esploso. Non si sa più quali domande porsi: meglio aggrapparsi a poche convinzioni semplici. Ed è in questo precario disordine che sboccia una storia subito appassita, perché raccontata da un anziano impotente che ripercorre la trama d’inettitudini in cui è aggrovigliata la sua esistenza. Zeno Cosini è il grande Alessandro Haber, seduto in un angolo su una poltrona girevole grigia come grigio è tutto sul palco, dagli abiti alle tende alle sedie. Ironico, sincopato, affannato. Biascica veloce. Sembra un saggio negletto, uno studioso le cui teorie sono state confutate. È l’indovino di sé. Sopra di lui un video wall a forma di cerchio racchiude un occhio inquisitore (quello di S?), poi treni, lettere, volute di fumo, una finestra su Trieste, temporali: la storia non si dipana solo nelle parole talvolta imprecise di Zeno/Haber, ma anche in quello strano empireo, scrigno di una verità muta, che incombe sui personaggi. Ma la realtà emerge anche grazie agli altri e le altre che hanno interagito col protagonista: stanno sul fondo della scena, girati di schiena, verrà il loro turno. Il primo a voltarsi è proprio lo Zeno giovane, che con elegante affabilità offre la prima di una serie di sigarette al narratore. Poi arriva il padre, in vestaglia, barbuto e barboso. La madre, il medico Coprovich, i Malfenti, Guido. Le figure entrano a seconda degli episodi riferiti, anche se l’anziano Zeno talvolta interviene direttamente sulle azioni degli attori per correggerli, anche se di poco, oppure per commentare con sagacia questo o quel dettaglio.
Prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e dalla Goldenart di Michele Placido per la stagione 23/24, La coscienza di Zeno è stato adattato da Monica Codena (che ha curato anche il movimento di scena) e Paolo Valerio. Noi abbiamo avuto l’occasione di vederlo ospiti dello Stabile di Torino, che lo ha presentato in un Teatro Carignano gremitissimo, dal 7 al 19 gennaio. La regia è sempre di Valerio, che voleva una riduzione improntata sulle nostre ingannevoli coscienze, e in effetti la vita viene più che altro evocata. La scena e i costumi sono di Marta Crisolini Malatesta, il cui lavoro merita senz’altro una lode. Le luci di Gigi Saccomandi sono impeccabili, come le musiche di Oragravity sono molto suggestive. Il cast si completa con le ineccepibili performance di Alberto Fasoli, Valentina Violo, Stefano Scandaletti, Ester Galazzi, Emanuele Fortunati, Francesco Godina, Meredith Airò Farulla, Caterina Benevoli, Chiara Pellegrin e Giovanni Schiavo.
C’è proprio un immaginario specifico, sul palco. Un’atmosfera difficile da definire a parole, ma che senz’altro riguarda quel sentimento dilaniante che alcuni possono capire di quando s’inizia a dubitare della propria diversità per abbracciare invece la conveniente idea che siano pazzi tutti gli altri. Il giovane Zeno è paterno nei confronti del sé stesso più anziano, come in un’indulgenza preventiva. Poi il vecchio suggerisce al giovane di andare in camerino a riposare perché le scene con le proposte di matrimonio per le tre Malfenti vuole farle lui. Assistiamo, in sostanza, al sano e grigio delirio dell’umano moderno.
Davide Maria Azzarello