L’invito potente a un tempo di grazia è lo spettacolo di Portoghese – Condemi
Un corpo inquieto, che si rotola tra cumuli di terra, un corpo erotico, sorvegliato da alti ciuffi d’erba e fiori in mezzo alle macerie, così vicino agli occhi di chi lo osserva, eppure allo stesso tempo anelante un altrove poetico. Un corpo veggente che conosce già la solitudine furibonda del destino che lo attende e che freme comunque dal dire, è quello di Gabriele Portoghese, l’attore che in “Questo è il tempo in cui attendo la grazia”, per la regia di Fabio Condemi, ha riportato sulle tavole del palcoscenico le parole di Pasolini.
Lo spettacolo, in scena al teatro Vascello di Roma, dal 14 al 19 maggio, si è concentrato sui temi centrali dello sguardo e dell’ecfrasi. Un viaggio suddiviso in tappe, annunciate sullo schermo bianco da titoli di sceneggiature appartenenti al corpus pasoliniano (Edipo re, Medea, Il fiore delle mille e una notte, Appunti per un film su San Paolo, La ricotta, Sabaudia, La profezia) ha ricostruito una biografia dal taglio onirico.
“Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?” è stata la frase da cui ha preso avvio la narrazione di una nascita, quella di un bambino che abbandona l’utero materno per incontrare l’universo (Edipo Re). Si è proseguito poi con lo sguardo antico sulla natura (Medea), quasi a volere evocare la misteriosa sacralità di un mondo arcaico, senza classi o ideologie, in opposizione alla modernità scandita secondo i dettami borghesi. Dai sorrisi, le partite di pallone e la tenera spensieratezza dei ragazzi presenti nel fiore delle “Mille e una Notte”, la vista è caduta su un’Italia imbruttita e lacerata dalla morsa del consumismo capitalista che ha oltraggiato più del fascismo la forma e la memoria dei luoghi (Sabaudia).
La narrazione incisiva e mai scontata di Portoghese ben si è coniugata alla sapiente drammaturgia dell’immagine firmata da Fabio Cherstich. Brevi “proiezioni-apparizioni”, le sue, in grado di tradurre la portata alta delle sceneggiature pasoliniane, in cui l’immagine è assente e la scrittura già compiuta, capaci di creare e ricreare ogni volta. Momento molto toccante è stata la furiosa distruzione dell’aiuola, dove Potoghese ha lanciato via “le vecchie sterpaglie generate dal torpore delle coscienze per riportare a galla la gioia della vita”. Come un San Paolo sulla via della luce, ha declamato i versi di Profezia, la poesia in cui Pasolini immagina l’arrivo di un popolo d’immigrati, guidati dalla figura di Alì dagli Occhi Azzurri, intuendo già allora come la società dei consumi, esasperata da un irrefrenabile utilitarismo, avrebbe generato una guerra fratricida tra ricchi e poveri.
Sul finale, la camicia bianca di Portoghese è diventata uno schermo gravido di immagini in potenza, sul quale sono stati proiettati i fotogrammi del film “Il Vangelo Secondo Matteo”, una citazione della performance di Fabio Mauri avvenuta durante l’inaugurazione della Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna nel 1975.
Se è vero che nella poesia lo stupore è il lusso di scoprire il mondo ogni momento, di sicuro questo spettacolo è un invito al richiamo della meraviglia, al recupero del sentimento, alla possibilità di ritornare a vedere ciò che ci circonda come se fosse la prima volta, a riottenere una vista troppo a lungo annebbiata dal cinismo e dall’egoismo. Forse solo così, arriverà anche il tempo in cui saremo felici.
Diana Morea
Fotografia di Claudia Pajewski