“L’Indifferenza” – Un thriller profondo e crudele alla ricerca della verità
“Non esiste la terza dimensione, la terra è piatta, l’uomo striscia. Alleluia!”
Quanta profondità può nascondersi dietro una vita apparentemente piatta, bidimensionale? Quanti colori, sotto il bianco e nero del nostro quotidiano? Quanta verità, in fondo al “domino delle menzogne”?
Per cercare una risposta a queste domande, l’autore-regista Pablo Solari mette in scena “L’indifferenza”, una sorta di spietato e coinvolgente domino a tre personaggi in cui ciascuno scopre, scena dopo scena, la sua tessera. In questo gioco, la tessera fondamentale da cui tutto ha origine è la prima. Si tratta di una scena tesa, intensa, davvero bellissima, in cui un misterioso uomo in bianco (un padre disperato, un predicatore armato di Bibbia? Oppure piuttosto Dio, il Diavolo, un Angelo?) incontra Franco, un ex soldato che dietro il suo presente bidimensionale sembra invece nascondere molte cose: fatti che riguardano la sua dimensione “passato” e, a sua stessa insaputa, la sua dimensione “futuro”. I rapporti di forza, in questo crudele braccio di ferro tra i personaggi che sembra esso stesso trasformarsi in un gioco sempre nuovo e diverso, mutano rapidamente a favore di Aldo (l’”uomo in bianco” interpretato da un irritantemente bravo e convincente Woody Neri): è evidentemente lui il “mazziere” della vicenda, un giocatore che sembra nascondere molte carte nella manica-ventiquattr’ore, forse truccate forse no.
Una di queste, un asso di cui per non “spoilerare” non riveleremo il colore, riguarda la moglie dell’ex soldato (un’inizialmente bidimensionale, quasi annoiata, guida museale molto ben interpretata da Valeria Perdonò, che acquista via-via una tagliente e ambigua profondità). Un’altra, anche questa un asso, è un atto bestiale, una “ferita di guerra” enorme e indicibile che Franco (un Luca Mammoli capace di crescere via-via in tridimensionalità) ha inferto e fino a quel momento nascosto a tutti, una cicatrice di cui però rivendica in qualche modo la paternità, quasi il bisogno. Lui nasconde un segreto. Lei nasconde un segreto. Il terzo personaggio, “l’uomo in bianco” che s’insinua nella vita dei due, sembra conoscere tutti questi segreti, e forse molti altri. Il thriller è tutto racchiuso in questa dinamica. Nella semplicità e “apertura” che domina la scena si vede ben chiara la firma, in questo caso anche come drammaturgo, di Pablo Solari. La sua è una regia “in cerca”: si focalizza esclusivamente sul mostrare, non pretende di dimostrare una tesi. Secondo la sua concezione, che condividiamo, è il Teatro stesso a essere prima di tutto indagine: indagine da parte dei personaggi nei confronti degli altri personaggi, alla ricerca della loro natura nascosta; indagine introspettiva di ogni personaggio, spesso rivolto verso sé stesso oltre che nella relazione con gli altri e con il pubblico; ultimo, ma non ultimo, indagine degli spettatori, chiamati a collegare i fili della vicenda, a decidere cosa è “fake” e cosa invece è vero, a guardare dentro se stessi.
Questo modo di indagare e di “creare di replica in replica Teatro”, non può non coinvolgere gli stessi attori, che non a caso si dimostrano partecipi al cento per cento e quindi non solo complici ma di fatto anche coautori dell’intero progetto. Il dubbio è un diavolo che si insinua dentro di noi, che supera il muro dell’indifferenza con cui cerchiamo di proteggerci, ma che ci rende anche in qualche modo tridimensionali.
Quante volte saremo costretti a ucciderlo, e se potrà mai morire, non possiamo saperlo.
In scena al Teatro i di Milano fino al 16 dicembre.
A. B.