L’incanto dell’impressione in mostra ad Asti
Ad Asti, un po’ più in là rispetto al fulcro urbano dove oggi convergono tutti i negozi, quasi in fondo a quel Corso Alfieri dove nacque e abitò Alfieri stesso, si erge, in tutto il suo umile splendore piemontese, un edificio nobiliare che dal 1937 funge da sede per la pinacoteca civica. Siamo a Palazzo Mazzetti, dimora barocca d’una famiglia estinta che per stemma aveva un graziosissimo scudo a mandorla sorretto da due unicorni. È qui che, il 13 settembre dell’anno corrente, si è inaugurata una mostra davvero incantevole, che si concluderà il 16 febbraio. Titolo: Monet e gli impressionisti in Normandia. Si poteva tentare qualcosa di più audace, è vero, ma la qualità dei contenuti può sopperire.
Paul Huet, Eugène Boudin, Louis-Alexandre Dubourg, Charles Daubigny, Adolphe-Felix Cals, fino ad arrivare a nomi più noti, come Courbet e Delacroix; o più inflazionati, come Monet e Renoir. E questi sono solo alcuni dei pittori esposti. Anche senza leggere il comunicato stampa, è facile intuire quale sia il tema, il fils rouge che amalgama il tutto. Spiagge assolate o tenebrose, barche di legno lasciate a scorticarsi per il sole e il vento salato, tramonti grumosi, scogliere burrascose, naufragi, nuvole che ottenebrano e astri che squarciano l’aria, qualche stabilimento balneare affollato, pochi discendenti superstiti dei loci amoeni di tempi che furono e non saranno mai più, la vita che cambia e le persone che appaiono o scompaiono, a seconda della prospettiva dalla quale scegliamo di vedere la società. La mostra racconta l’Impressionismo, ma non nel modo diffuso e vagamente qualunquista col quale viene spesso affrontato. Lo stesso viene infatti problematizzato, analizzato e giustificato storicamente. Se ne sostiene il carattere più inclusivo, che non rinuncia al Realismo ma che nemmeno teme di svanire per lasciare il posto ai vertiginosi Ismi del Novecento più folle. L’evento prende poi una forte personalità se si pensa che si è preso in esame un lembo specifico dell’Impressionismo, e cioè tutta quella pittura nata nutrita o quantomeno influenzata dall’atmosfera sublime della Normandia, che secondo la curatela va intesa come patria stessa dell’Impression. Senza Giverny, senza Rouen, senza Honfleur, l’impression non sarebbe stata la stessa. Senza Caen, Dieppe, Étretat, Deauville, lo sviluppo di una delle tensioni artistiche più note avrebbe portato ad esiti differenti. Ed effettivamente in molti sono passati da queste terre. Alcuni famosi, altri negletti, ma poco importa. Anzi, come per ogni mostra didascalica che si rispetti, anche qua gli outsiders sono invitati a scoprire più gli artisti sconosciuti che il resto. C’è Maurice Louvrier, con la sua gestualità d’una evanescenza quasi metafisica; c’è Émile Othon Friesz, con i suoi guizzi di velluto in technicolor; c’è Frank Myers Boggs con le sue nebbiose vedute portuali di navi, fumo e nevischio; c’è il giovane Jacques Villon, che prima di essere un cubista è stato uno capacissimo coglitore d’impressioni; e c’è Berthe Morisot, eccellente quota rosa versata tanto nei ritratti quanto nei paesaggi. Certo, nulla di tutto ciò risulta sconvolgente se si pensa ai futurismi spasmodici esposti un po’ ovunque. La mostra non rappresenta neanche una particolare novità, considerato che molto di quel che sta ora ad Asti l’anno scorso era in mostra al Forte di Bard. Però bisogna anche fare i conti con una verità inoppugnabile: talvolta è sano ritornare sui propri passi, e scoprire chi eravamo prima di “rovesciare gli orinatoi”, perché qualcosa di quel passatismo sopravvive ancora, anche nei più sfrenati sostenitori della contemporaneità avveniristica.
Il corpus di opere comprende 75 pezzi di pregio indiscutibile, tutti provenienti dalla collezione Peindre en Normandie, fondata nel 1992 con l’approvazione del consiglio regionale della Basse-Normandie. La rassegna, targata Arthemisia e curata da Alain Tapié (che presiede anche la Fondation Peindre en Normandie), ha previsto la collaborazione di Vittorio Sgarbi nei panni del mediatore tra la città e gli ospiti. Sgarbi e Tapié hanno anche lavorato insieme per dare vita al catalogo (ed. Arthemisia Books), dove oltre alle ottime riproduzioni dei dipinti si possono trovare i loro stimolanti saggi sul concetto di impressione, sull’evoluzione del movimento, e sul ruolo che ha giocato la Normandia nella maturazione di quest’ultimo.
Davide Maria Azzarello
In copertina: Maurice Louvrier (Rouen, 1878 – 1954), Il pilone bianco, effetto di nebbia, 1940 circa; Caen, Collection Peindre en Normandie.