“Limbo” – Il primo libro di Flavio Pardini
La musica e la letteratura sono amiche di vecchia data: spesso s’incontrano, talvolta arrivano ad inglobarsi l’una nell’altra per dare vita a forme espressive interessanti. Gli esempi sarebbero infiniti, ma per citarne qualcuno: la metrica greca, l’amor cortese del basso medioevo, il cantautorato degli ultimi decenni. Se ci concentriamo sull’ultima categoria, poi, scopriamo che tanti cantautori non hanno nulla da invidiare ai poeti dei libri di scuola: Lucio Dalla, Giorgio Gaber, Francesco Guccini, Nada Malanima, Franco Battiato (e così via) non sono poi molto diversi, mutatis mutandis, nei contenuti più che nello stile, dai vari autori dei manuali di letteratura per i licei.
Ora, il salto è piuttosto ardito: la distanza spaziotemporale tra i sopracitati e il fanciullo di cui stiamo per disquisire potrebbe spiazzare molti, i puristi correranno ai ripari gridando che mala tempora currunt (sed peiora parantur), ma dobbiamo prendere atto di un avvenimento che recentemente si è consumato entro gli eterocliti confini del nostro paese. La notizia è che Gazzelle ha scritto un libro, e quindi ancora una volta musica e letteratura si sono ritrovate. Ma riavvolgiamo il nastro per gli impreparati: di chi stiamo parlando? Gazzelle è un cantautore romano classe 1989, all’anagrafe Flavio Bruno Pardini. Cresciuto nel rione Prati, è andato a scuola con due dei garzoni che poi hanno creato la kitchissima Dark Polo Gang. Nel 2016 ha scelto il suo soprannome ispirandosi all’omonimo modello di scarpe dell’Adidas. Il nome è venuto fuori in modo un po’ casuale: ero alla ricerca di una parola che ci azzeccasse poco con la mia musica, che facesse da contrasto e desse un gusto surreale. Poi un giorno mi sono accorto che avevo davvero un mucchio di paia di Gazelle Adidas in camera mia, perché sono un po’ fissato con le scarpe, e ho pensato che avrei potuto chiamarmi così, che suonava bene e strano al punto giusto, ha dichiarato. Ragazzo ombroso, malinconico, spesso ridondante, Marco Biazzetti di Rolling Stone lo ha definito il fenomeno introverso nel famoso n° 7 del luglio 2018, quello apertamente schierato contro Matteo Salvini (Gazzelle era tra i firmatari del manifesto). Scrive e canta delle ragazze che lo hanno lasciato, di alcol, di depressioni varie ed eventuali; scrive un po’ come gli pare, di getto, e canta svogliato, slabbrato, sbrodolando quasi i suoni. Certo, c’è un personaggio adagiato sulla sua persona, ma in fin dei conti è così per tutti. Quando l’ho incontrato all’Hiroshima Mon Amour nel dicembre 2017, dopo un concerto, abbiamo chiacchierato un po’ e mi ha offerto una sigaretta. Sfuggente, indie, ma comunque carino, gentile, accessibile, alla mano. Su Repubblica c’è un’intervista in cui definisce il suo stile sexy pop, e anche se concordiamo tutti sul fatto che sia essenzialmente corretto, nel frattempo ancora ci chiediamo cosa significhi davvero questa strana etichetta. Per ora ha pubblicato due dischi, Superbattito e Punk, entrambi prodotti da Maciste Dischi. Lo scorso 26 aprile, però, è uscito Faber nostrum, il disco tributo a De Andrè per il quale ha reinterpretato, e bene, Sally, del ’78. Se volete ascoltare qualcuno dei suoi pezzi, potreste partire da NMRPM (Non Mi Ricordi Più il Mare), Stelle filanti, Nero o Sopra. O perché no? Dalla gradevolissima cover de La cura di Battiato.
Il 2 luglio la casa editrice Rizzoli ha pubblicato il suo primo libro. Il titolo: Limbo (2019, pp. 128, euro 15). Sottotitolo: Pensieri inversi. E di che si tratta? Il giovane Flavio ha tentato di scrivere delle poesiole che strizzino l’occhio ai temi e allo stile delle sue canzoni. Partiamo dagli aspetti negativi: se una persona colta, legata magari alla comunicazione poetica storicizzata, avesse l’occasione di sfogliare queste pagine, quasi sicuramente non apprezzerebbe il risultato. La metrica non esiste, i versi potrebbero essere rivisti, a volte le soluzioni retoriche sono molto semplici, senza pretese. Spesso si gira e rigira attorno ad un concetto banale per cascare in un nulla di fatto. I più gentili lo classificherebbero come un simpatico gadget per giovani fans poco istruiti. Però qua vogliamo tentare di formulare anche degli onesti e oggettivi complimenti: in questo primo approccio letterario, i contenuti di Gazzelle sono evocativi, ponderati, gradevoli. Alludono a idee ragionevolmente intercettabili e condivisibili da una grande parte del pubblico. Molto probabilmente queste strofe non sconvolgeranno la storia della letteratura, ma d’altronde a chi importa? Se già in passato vi siete imbattuti nelle canzoni di Gazzelle, allora questo lieve libriccino potrà essere la placida riconferma di un’estetica volutamente confusa, a tratti accennata ma non davvero spiegata. Al pubblico vengono richieste poche ore: si tratta di una settantina di strofe, più o meno sconnesse, che in qualche modo riescono a suggerire qualcosa a chi le legge. Certo, bisogna scendere a compromessi con una sensazione fastidiosa: durante la lettura, è costante l’impressione che nessuno abbia riletto i versi per correggerli o per migliorarli, come se qualcuno avesse semplicemente annotato dei pensieri da sviluppare in un secondo momento. Forse, però, siamo solo incapaci di cogliere le ragioni che si celano dietro questo modus operandi, e infatti è plausibile che Flavio voglia che le cose vadano così: lui ci affida una brutta copia del suo vissuto, un ricordo intricato di simboli aneddotici, un’impressione, una traccia; e noi dobbiamo riadattare il tutto alla nostra esperienza. È un modo per dichiarare vicinanza, prossimità, umanità: lui non è una star, qui non è neanche quel Gazzelle del palcoscenico; è solo Flavio, è un ragazzo come noi, come tutti gli altri. E ce lo vuole far sapere.
Se osservate il tutto da questa prospettiva, vi accorgerete di quanto sia encomiabile quest’operazione letteraria. E quindi buona lettura.
Davide Maria Azzarello