#piulibri19 – “L’evento”: La memoria e il coraggio di Annie Ernaux
“In Giappone gli embrioni abortiti sono chiamati mizuko, i bambini dell’acqua”
Cosa significa decidere di abortire quando la legge lo vieta? Quali sono i sentimenti e le vicissitudini che una donna doveva attraversare per cambiare il corso di questo evento?
A Più libri più liberi 2019, nella Sala Marte della Nuvola, Il traduttore ed editore Lorenzo Flabbi ha presentato “L’evento” (2019, pp. 113, euro 15), la nuova pubblicazione de L’Orma Editore, nella Collana Kreuzville Aleph, dell’autrice francese Annie Ernaux. Flabbi sottolinea quanto sia importante e necessario intervenire nella società attraverso la letteratura e l’importanza quindi della pubblicazione di un libro come questo, rivolto a tutti: una storia scritta e vissuta attraverso il corpo e in cui il corpo assume un valore universale. L’analisi si svolge attraverso i pensieri etici di Simone Weil e le riflessioni di Rousseau sull’origine delle lingue; e attraverso la delucidazione sulle scelte traduttive che hanno permesso a Lorenzo Flabbi di restituirci una lettura in una lingua esatta e limpida.
Annie Ernaux ci parla dell’aborto in Francia negli anni ‘60 quando la legge ancora lo vietava, situazioni che ancora si verificano oggi in particolari contesti. Quanto ci siamo realmente evoluti? Proiettandoci nella Rouen del 1963, ci racconta i passaggi di questo personale momento di vergogna, solitudine e paura, ricreando un contesto di verità intorno a un episodio da nascondere, cancellare e da cui in qualche modo riuscire a fuggire. Scriverlo significa non solo rievocarlo, ma imprimerlo nelle coscienze, perché il vissuto dell’autrice non appartiene solo a lei ma a una intera generazione, e non solo. Ha un valore universale, che ci ingabbia e ci rende partecipi di un fallimento sociale a cui apparteniamo.
È lei stessa a definire la sua scrittura piatta come la lama di un coltello e non concede mai, nella lettura, lo spazio emotivo di un sentimento esposto. Non piangiamo leggendo “L’evento”, ma restiamo immobili e impotenti, mentre ingoiamo rabbia e disprezzo verso ciò a cui apparteniamo, a cui siamo partecipi e, in fondo, anche verso noi stessi. Verso quell’impotenza mal giustificata a cui, per forza di cose o per codardia, dobbiamo prendere parte. Dove ogni protesta diventa un fallimento a perdere. Dove nessun uomo – uomo come maschio, in questo caso specifico – tende la mano, nessuno: un delirio sociale che ci permette con estrema facilità di voltarci altrove per non guardare, ignorando. Un delirio che ci costringe a metterci nelle mani di perfetti sconosciuti per salvare le nostre vite. Come l’affidabilità verso la fabbricante d’angeli, colei che aiuterà la protagonista nell’aborto, un affetto incondizionato la legherà a questa donna che, al contrario, lo fa solo per avidità e riscatto sociale. Un coraggio preso da donne impastate in un destino più misero del suo. Un evento clandestino di cui parlare, attraverso gli appunti di un diario del tempo, mentre oggi le cose sono o sembrano cambiate. Rivivere per scrivere quell’evento è un atto di dovuta infelicità, per ritornare a quella sofferenza che allontanava l’autrice da ciò che era sempre stata. Le descrizioni di tutto ciò che le ruota intorno sono fitte e precise, come a vivere una sorta di estraniamento, in quel momento preciso in cui lei resta immobile e tutto le scorre intorno. Questa immobilità riguarda lei ma non il suo ventre, perché nemmeno la sua immobilità basta a fermare gli eventi.
Non c’è mai un interrogativo in questo racconto, non esistono domande perché è tutto già accaduto, perché si parla di ciò che è già realmente successo. Ma, allo stesso tempo, questa scrittura piatta diventa un susseguirsi di parole che si aprono al mondo, senza vergogna, in modo schietto e vivo e brutale allo stesso tempo. Annie Ernaux vuole guardare e farci guardare le cose fino in fondo, scrivendole e intrecciandole con la bellezza della letteratura e di quella vita, “… che a ripensarci oggi mi sento sopraffatta dal disgusto o dalla dolcezza”.
Marianna Zito