“Lettere da altrove”: i messaggi dal futuro tra narrazione, musica e video – Intervista a Lory Muratti
Due amanti rinchiusi all’improvviso in un ex ricovero barche del Nord Italia a causa di un’epidemia, lontani dal resto del mondo. Questa è la sinossi della serie video narrativa che Lory Muratti ha ideato durante il primo lockdown e che ha ispirato il nuovo disco, lo spoken album “Lettere da altrove” (Riff Records / the house of love). Lory Muratti è polistrumentista, producer, scrittore e regista, con una prolifica esperienza alle spalle, che unisce la musica alla narrazione, al video e al teatro. Per andare più a fondo di queste “Lettere da altrove” abbiamo raggiunto telefonicamente Lory Muratti.
“Lettere da altrove”: dove si trova l’altrove e verso quale altro luogo sono indirizzate le lettere?
L’album fa capo ad una narrazione che avevo pubblicato a puntate la scorsa primavera, in pillole video narrative. La narrazione è un espanso di quello che sono i testi delle canzoni; il luogo in cui è ambientata è un ex ricovero barche, dove vivo e lavoro, uno spazio ricco di suggestioni nel suo essere così isolato, che è altrove rispetto a una dimensione cittadina. L’altrove però è anche uno spazio interiore, che il protagonista recupera nel momento in cui scrive queste lettere a una donna che non c’è più, ricordando il momento in cui erano stati insieme. Il nostro presente, quello dell’epidemia, è solo un espediente narrativo, qualcosa di passato, infatti in tutto il lavoro non si accenna minimamente al virus, ma solo al fatto che questi due personaggi sono rimasti rinchiusi contro la loro volontà a causa di una misteriosa epidemia. Il nostro presente è il passato di colui che, nel futuro, scrive lettere a questa donna, diventata una figura della sua memoria.
Dove si può vedere la serie video narrativa che ha ispirato “Lettere da altrove”?
Inizialmente era stata ospitata sulle pagine di Rockol, ogni puntata usciva con cadenza settimanale, poi da lì è passata sul mio canale YouTube. Si tratta di pillole video nelle quali scorre una sorta di immagine cartolina presa dalle sponde del ricovero barche con il racconto in sovrimpressione, come dei titoli di coda.
Sul tuo canale YouTube ci sono quattro videoclip: “Lettere da altrove”, “Giorni deserti”, “Ostaggi del tempo” e “Dove siamo sempre stati”, c’è una connessione tra questi e la serie video narrativa?
La differenza tra i video della serie e i quattro videoclip che hai citato sta nel fatto che i video che compongono la serie raccontano la storia. Dal testo della narrazione ho estrapolato i testi delle canzoni, è un modello di produzione artistica che perseguo da tanti anni e che mi ha portato nel tempo a completare libri e dischi in parallelo. Parto sempre da una dimensione narrativa in quello che faccio: in un racconto cerco di mescolare elementi biografici a elementi di fiction e da lì estrapolo il materiale che mi permette di comporre il testo di una canzone. “Lettere da altrove” segue lo stesso approccio: pur non essendoci un romanzo, c’è la narrazione che noi possiamo scoprire attraverso la serie video, da cui è nato tutto il progetto, dando forma durante l’estate al concept album. I videoclip rappresentano, nella mia poetica, la dimensione psicologica di quello che cerco di mettere in opera, per questo le mie produzioni sono tripartite: la parte musicale è la dimensione più emotiva, più di pancia, quella che colpisce per prima e riassume tutte le altre; la parte scritta/letteraria è quella più narrativa, da cui si si evince la storia da cui il disco ha preso forma, mentre la parte visiva mi permette di assolvere e sviluppare tutte quelle sospensioni legate alla dimensione del subconscio. Come regista non mi interessa replicare la storia raccontata dal libro o dalla narrazione, ma aprire le finestre su quegli aspetti psicologici che né la narrazione né la parte musicale può del tutto sviscerare.
Ci sono dieci puntate della serie, otto brani musicali e quattro videoclip: “Lettere da altrove”, “Giorni deserti”, “Ostaggi del tempo” e “Dove siamo sempr stati”: ne girerai altri quattro?
Sono sempre stato maniacale nello sviluppare progetti: in maniera quasi matematica per ogni brano ci deve essere il video, e per ogni video ci deve essere una corrispondenza al libro. In questo caso mi sono lasciato andare un pochino di più a quello che mi sembrava funzionare per il media coinvolto in quel momento. Avevo intenzione di fare un disco di dieci canzoni, ma le canzoni nascono dai sound design con cui ho accompagnato ogni puntata della serie. Un paio di questi sound design però non erano funzionali per far parte di un album, sarebbero stati una forzatura. Mi sono detto che l’album era un mondo a sé, quindi, se otto canzoni mi permettono di raccontare comunque la storia, perché inserirne a forza altre due? Lo stesso vale per i videoclip: i quattro riassumono la dimensione psicologica legata alla narrazione e hanno quello scopo. “Lettere da altrove” è stato il primo e, pur non essendo il primo brano del disco, è quello che riassume il perché della narrazione stessa, il punto di partenza. Ad aprile ho pubblicato quello, ma non sapevo che ne ce sarebbero stati altri perché non sapevo che sarebbe seguito un album, inizialmente era un brano isolato.
Parlando di sound design, hai mai pensato di creare dei podcast?
No, ma mi affascina molto l’idea, mi è stata appena proposta una cosa simile legata a una dimensione radiofonica. È una sfera che si presterebbe bene a progetti di questo tipo e a questo in particolare, ma non mi sono ancora spinto fino a questo punto.
Ho letto che prima della pandemia avevi un disco e un romanzo pronti per la pubblicazione, sono ancora in stand-by o pensi di pubblicarli a breve?
Proprio in questi giorni sto dialogando con l’editore e l’etichetta su quando e come procedere con questa uscita rimasta in stand-by per questioni legate all’urgenza del momento, momentaneamente sostituita da “Lettere da altrove”. Si tratta di un lavoro più corposo, o almeno lo era ai nostri occhi prima che “Lettere da altrove” diventasse tutto questo.
L’elemento acqua, presente nel luogo in cui vivi, sulla copertina e in particolare nell’ultimo videoclip, che ruolo ha? Che rapporto hai con il territorio?
Il lago ripreso nei videoclip e che fa parte del luogo in cui vivo è il Lago di Monate, un piccolo lago in provincia di Varese in cui non girano le barche a motore. È un luogo che porta con sé suggestioni molto forti, così come il territorio in generale: è quasi impossibile vivere da queste parti e non essere influenzati da questa dimensione lacustre. Il fatto che io viva proprio sulle sponde, a contatto con l’acqua, la rende ancora più forte, e negli anni ha fatto crescere in me un legame che porta con sé luce e cadute. La dimensione estiva della bella stagione restituisce molta energia in senso fisico, l’autunno e l’inverno invece sanno essere estremamente densi, molto affascinanti, ma molto difficili da reggere da un certo punto di vista. Ho un legame che perdura da una vita, sono nato e cresciuto lì, ho cercato di fuggirne più volte, ho vissuto in molti altri luoghi e anche molto spesso fuori dall’Italia, ma poi sono tornato. Questo richiamo e poi quest’avventura strana mi ha portato a investire tutte le mie risorse in questo luogo, in questa casa laboratorio, un ex ricovero barche, con tutte le stranezze del caso. Ho un legame inscindibile: amore e odio ai massimi livelli, l’acqua per me è il luogo a cui tornare sempre, attraverso cui la narrazione prende forma: un luogo di vita, il più ricco di archetipi, riferimenti e simboli che io riesco a immaginare.
Avresti intenzione di presentare dal vivo “Lettere da altrove”? Cosa ne pensi dello streaming?
Lo streaming è una dimensione che non mi si confà minimamente, non mi fa sentire a mio agio e non credo si adatti a quello che faccio. So che può sembrare una posizione fuori dal tempo, ma, per come la vivo io, è un ripiego, non posso pensare a uno spettacolo teatrale in streaming. Quello che porto dal vivo è molto vicino a una dimensione teatrale. Per “Lettere da altrove” stiamo immaginando contesti un po’ fuori dal coro perché c’è l’intenzione di far vivere un altro capitolo di tutto questo lavoro, che svelerò al momento opportuno.
Stai lavorando a qualcosa in quest’altro momento di chiusura?
No, questo è un tempo in cui revisionare e progettare. Lo scorso marzo, quando siamo stati presi in contropiede ci siamo ritrovati a cercare un rifugio, per me è stato un rifugio interiore che mi ha permesso di slatentizzare alcune cose che mi porto dietro da molto tempo e che sono confluite in questo progetto. Per il lavoro che era rimasto in sospeso e che uscirà nel 2021 ci sono delle revisioni in corso, è una fase più pragmatica che creativa, e mi fa piacere che sia così.
Da quale disciplina artistica hai iniziato?
Dalla scrittura in maniera inconsapevole e dalla musica in maniera consapevole. Dalla scrittura perché a 6/7 anni mi ritrovavo a scrivere in versi: era una cosa bizzarra, avevo anche una maestra sensibile al tema poetico che spingeva in quella direzione. Un paio di anni dopo mi sono ritrovato al pianoforte, guidato da mia madre, che ha avuto l’intuizione che il pianoforte potesse essere un luogo-rifugio. Sono cresciuto in un contesto in cui la creatività, in qualsiasi forma, mi veniva presentata come un possibile rifugio, come un luogo protetto, in cui trovare dei veri significati, o anche a nascondersi quando è necessario. Sono approdato alla regia in tempi successivi, nel periodo in cui vivevo a Modena e frequentavo la facoltà di cinema all’Università di Bologna.
Roberta Usardi
Fotografia di Nicola Chiorzi
www.instagram.com/riff.records
www.facebook.com/thehouseofloveonthelake
www.instagram.com/thehouseoflove_creativelab