“L’eterno piccolo borghese” – La Germania di Ödön von Horváth
“Voi nuove generazioni, non avete anima” diceva. Cazzate! Cos’è mai l’anima?
Germania, anni ’30. Ödön von Horváth con il suo libro “L’eterno piccolo borghese” (Castelvecchi, 2021, pp. 136, euro 15, con un’introduzione di Nino Muzzi) ci porta nella Germania postbellica. Una nazione che, a seguito della sconfitta durante il primo conflitto mondiale, si trova a fronteggiare una dura crisi economica e un’inflazione galoppante. Sulla cornice di questo paese in rovina si affacciano i personaggi del romanzo, tutti facenti parte del ceto medio, i piccoloborghesi.
L’autore descrive l’epoca di cui è stato spettatore, già pregna dell’ideologia nazifascista, e con evidente disgusto e sarcasmo ci propone, nella formula stilistica predominante del dialogo come in un’opera teatrale, i personaggi ispirati dal suo quotidiano. I personaggi di von Horváth sono meschini, capaci di sacrificare moralità e etica sull’altare del proprio tornaconto personale, principalmente economico o sessuale. Alfons Koebler commerciante nonché truffatore, la signora Pollinger che per “praticità” vende il suo corpo per denaro, il giovane Harry Priegler sicuro di sé e della sua auto sportiva come mezzo di seduzione delle donne.
Il romanzo è suddiviso in tre parti, nelle quali si avvicendano le storie dei nostri personaggi senza mai arrivare a un vero finale, quasi a dare risonanza all’aggettivo eterno utilizzato nel titolo. Aggettivo, eterno, che allo stesso tempo ci mette in guardia su come la minacciosa inettitudine e la miseria del piccoloborghese trascendano le epoche e non siano relegate al tempo dell’autore.
“Anche il vecchio tipo di piccoloborghese non val più la pena di essere ridicolizzato… Parlo di domani perché il piccoloborghese di tipo nuovo è ancora in fieri, non si è ancora consolidato”.
Domenico Lauria