“L’estraneo e il noto – Entusiasmi, incontri, letture fotografie” di Teju Cole
“E ovunque mi trovi, da New York alla Svizzera rurale, mi sento il custode di un corpo nero, e devo trovare il linguaggio per tradurre cosa significa tutto questo per me e per le persone che mi guardano”.
“L’estraneo e il noto – Entusiasmi, incontri, letture fotografie” (2019, pp. 168, euro 21,90) edito da Contrasto, è una raccolta di articoli pubblicati sul New York Times Magazine e di saggi scritti nel corso di dieci anni, e usciti solo ora e per la prima volta in Italia, nella traduzione di Gioia Guerzoni. Articoli dove corrono e scorrono ricordi di infanzia e adolescenza che Teju Cole scrive, intrecciandovi all’interno poesia, musica, letteratura, storia, politica, fotografia, pittura e il viaggio. Cose viste e amate dallo scrittore e fotografo statunitense, che gli hanno dato gioia e allo stesso tempo inquietudine, e che arrivano a noi attraverso i suoi occhi e i vari linguaggi della sua produzione artistica.
Un libro che “contiene tutto quello che ha alimentato in me un senso di possibilità e mi ha fatto provare” come scrisse il poeta irlandese Seamus Heaney, “un’urgenza in cui passano l’estraneo e il noto”.
Si legge nella prima parte di questo libro e si vede nella seconda, dove ogni articolo è la tappa di un viaggio che ci proietta verso persone e luoghi.
“Grazie alla scrittura, ho avuto la possibilità di scoprire cosa sapevo, cosa avrei potuto sapere di più, e dove sono i limiti del sapere”.
Troviamo James Baldwin che nei primi anni ’50 abitò il piccolo borgo svizzero di Leukerbad, periodo in cui “un corpo nero” non passava di certo inosservato,
“dove essere stranieri significa attirare sguardi, ma essere neri significa essere guardati in modo particolare”.
Un momento di fondamentale riflessione sulla estraneità e su come avviene la percezione dell’altro, nei diversi luoghi e attraverso il tempo. Ci sono poi le poesie di Tranströmer e Walcott, immagini sulla carta, la prosa di Vladislavić fino alla definizione della funzione civilizzatrice della letteratura.
Nella seconda parte, l’autore cerca le sue risposte nelle fotografie da Cartier-Bresson a Steve McCurry, troviamo l’India del passato, la ricerca dell’ideale autentico occidentale; e ancora il movimento Black Lives Matter, John Berger, Seydou Keïta e Malick Sidibé, Roy DeCarava “uno dei fotografi più potenti e affascinanti della storia americana” e i limiti tecnici nei ritratti dei soggetti con la pelle nera,
“Invece di illuminare il nero, lo scuriva ancora di più, andando contro le aspettative dell’osservatore. Il nero non è né spento né vuoto, anzi: contiene una luce forte, saggia che, con un’osservazione paziente, può aprirsi allo splendore”.
e ancora, René Burri, Guido Guidi, Luigi Ghirri fino all’immagine digitale,
“oggi, molti dei nostri incontri con le foto, scattate da noi o da altri, avvengono attraverso lo schermo di uno smartphone. Il cellulare è una specie di finestra, ed è sempre sul punto di rompersi. Il mondo dell’immagine, che fa da eco al mondo reale, è ugualmente frammentario”.
C’è sempre una domanda nelle analisi di Teju Cole, nel racconto di quelle situazioni per lui familiari, lontane da noi ma sempre così reali, tutte dipinte con una scrittura limpida, precisa e incantevole.
Marianna Zito