“L’ESTRANEA DI CASA”, RAFFAELLA GIANCIPOLI AL BELLARTE DI TORINO
Minuscola tra le ombre, una piccola luce inizia il suo cammino. Accarezza il volto di una donna, le parole al marito già addormentato, la storia che accompagna i due bambini verso il sonno. La piccola luce di casa, che tiene sveglio il cane. La piccola luce in una casa nella regione più povera della Romania, dove la notte può diventare sentiero, partenza, frontiera: senza pronunciare saluto, un gruppo di donne sale su un pulmino che le porterà, di nascosto, verso una terra di promesse. Tra quelle donne, scintilla maiuscola, c’è Luminiţia.
Scritto, diretto ed interpretato da Raffaella Giancipoli con l’assistenza alla regia di Annabella Tedone, lo spettacolo “L’estranea di casa” – vincitore del bando “L’Italia dei Visionari 2018” – è giunto in prima regionale al Teatro bellArte di Torino venerdì 1 marzo. Prezioso nel suo gettare delicata luce su un tema mai così attuale, questo progetto di Kuziba Teatro prodotto con la Compagnia Bottega degli Apocrifi racconta (nella forma di monologo per una attrice dalle mille voci) la storia di una madre che parte senza salutare i figli ma che ogni domenica telefona a casa promettendo, ogni volta, di tornare presto.
Nella lingua romena non esiste la parola badante, perché “Nessuno lascerebbe un genitore nelle mani di un estraneo”. Luminiţia, che è maestra di storia e di geografia, quando arriva da clandestina in Italia si vede data una sola possibilità: fare assistenza h24 agli anziani. Un lavoro che la metterà a dura prova perché, a differenza dei bambini che hanno un’intera vita davanti, per i “nonni” e le “nonne” i granelli nella clessidra sono ridotti, talvolta smarriti. Ci vuole pazienza, dicono gli stessi secondo cui lavorare con gli anziani è come lavorare con i bambini. Pazienza, risponde lei alla domanda “Quando torni?”. Nella narrazione si rifrangono (come nei bianchi e neri delle video animazioni di Beatrice Mazzone) le promesse che Luminiţia vive in prima persona: tornare a casa, seguendo la nostalgia che per il giovane figlio Culin diventa di anno in anno più difficile da sopportare, e tornare in Italia dalla signora Chella (diminutivo di Domenica) la quale, superate le spigolosità e le diffidenze dei primi tempi, non vuole nessun’altra a tenerle compagnia.
Splendida intensità, “L’estranea di casa” non viene a portare la quiete del tutto è bene quel che finisce bene, ma una spada che è l’urlo di tante madri e dei loro “orfani bianchi”. Innesca domande, munisce il pubblico di umanissime vele – un coraggio che trova, è proprio il caso di dirlo, terreno fertile nella stagione 2018/2019 sia del bellARTE gestito da Tedacà sia di Cubo Teatro e di San Pietro in Vincoli – spingendo a vedere le cose a noi vicine con gli occhi di chi viene da lontano, di chi cerca ogni giorno un modo di perdonarsi per il vuoto che ha lasciato dietro di sé. Luci piccole, forse, ma determinate, frutto di un notevole lavoro di documentazione e di raccolta di testimonianze; luci che tengono sveglia la coscienza in un’epoca di naufragio.
Pier Paolo Chini
Foto di Davide Pioggia