“L’ESIGENZA DEL SILENZIO” DI MICHELA ZANARELLA E FABIO STRINATI
Mi piacciono queste operazioni a quattro mani, è come confrontarsi, sfidarsi, correre insieme a un traguardo che prevede, quali che siano i risultati, un premio di solidarietà e di considerazione dell’altro. Il lettore però farebbe un grande errore se cominciasse a confrontare i testi, a metterli controluce per verificarne il peso e stabilire un premio da assegnare. Il viaggio è compiuto insieme e il giudizio, anzi l’abbraccio, deve andare a tutti e due, perché comunque hanno voluto unificare lo spirito e gli intenti, sia Michela e sia Fabio, forse per dimostrare che la poesia non avrebbe bisogno di essere firmata quando sa toccare le corde essenziali del sognare, dell’essere angosciati e del morire, dell’essere inquieti e gioiosi. Cioè i sentimenti più profondi e i nodi complicati del vivere.
Ho letto con molta attenzione sia i componimenti di Michela Zanarella e sia quelli di Fabio Strinati. Sembrano due mondi apparentemente lontani e che però trovano subito il saldo e l’equilibrio nello scambio che non segue una logica organizzata ma trova sempre la nota giusta per “completare” il dettato dell’altro e viceversa. Michela Zanarella è ormai una presenza attiva e di grande rilievo nella poesia italiana e forse anche per questo motivo ha accettato il gioco con Fabio Strinati che mostra una magnifica tenuta del verso. I due poeti creano un canto a due voci ma che presto diventa sinfonia nella quale si esplicitano le emozioni sui grandi temi dell’esistenza. Infatti l’argomentare è tenuto quasi su un piano metafisico e fa sentire i rintocchi di un lirismo di cui abbiamo un po’ perduto la conoscenza. Né a Michela né a Fabio interessano le trovate o le improvvisazioni ricavate dalla quotidianità, ma si tuffano nel mare immenso del crepitio esistenziale per trarne le ragioni più appropriate di un canto capace di indagare sui misteri. C’è, in ognuna delle composizioni, un’ansia che si tocca quasi con mano, una trepidazione che sembra nascere da lontano e che subito investe la vita nelle sue diramazioni. Le due sensibilità poetiche a un certo punto si abbracciano in una sorta di profonde accensioni che fanno scaturire “messaggi” cifrati e danno avviso di scoscendimenti pericolosi. Una poesia così ha bisogno di essere ascoltata e direi vissuta in prima persona per intenderne tutta la portata, ha bisogno di trovare adesione piena per poterne cogliere il magma incandescente che vi scorre e per poterne assaggiare le valenze umane e culturali. A un certo punto Michela scrive: “ Mi capirai / quando sarò lontana dal mondo / e mi chiameranno solitudini / a farmi casa nel silenzio?”. E’ questa l’esigenza del silenzio, o presuppone altro? E’ questa e presuppone anche l’individuazione di una possibilità per poter vivere il silenzio (che è sempre vivo, come dice D’Annunzio) nella pienezza dei suoi riscontri segreti?
Un lirismo che non svicola in sfumature astratte, ma che ferma la sua attenzione sui risvolti esistenziali, com’è nella tradizione che va da Leopardi a Goethe a Rilke. Zanarella e Strinati sono coscienti di possedere le qualità per inseguire il Mistero, per non soccombere agli astratti furori e per non morire dentro le dissolvenze delle attese inutili. Ecco perché queste poesie sanno di pane casareccio e di vino buono pur essendo nate nel fuoco ardente e lampeggiante di un crogiolo di vita che ci riporta agli imperanti sfaldamenti del secolo, quelli che ha interpretato Fernando Pessoa, ma anche a Milosh, Herbert e la Cvetaeva. Non sono citazioni a caso, sono riferimenti di elezione, non per forza rinvii di affiliazione, e ciò dimostra quanto lavoro, a volte estenuante, sta dentro la costruzione de L’esigenza del silenzio, che è anche implicito giudizio sulla decadenza attuale dei valori fondamentali e sulla perdita di identità. Ma un altro aspetto vorrei sottolineare di questi versi così densi e pieni di amarezza e anche di una certa gioia fragrante e limpidamente vissuta come traguardo del senso del vivere. Insomma, Michela e Fabio compiono un viaggio insieme e ne danno un resoconto non attendibile, fuori dalla verità comune. Perché nelle loro parole c’è la verità di un cielo che si è specchiato senza cercare la deflagrazione. La metafora per fare intendere la catena di metafore sottese in ogni pagina, il fluire limpido e a volte magmatico dei pensieri e delle emozioni, lo sforzo per poter entrare nell’invisibile e trarne ragioni ineluttabili. Non è questo del resto il compito dei poeti? Non è quello di squarciare veli e di entrare nella magia di insondabili chimere per offrire poi la dovizia di nuovi cammini?
DANTE MAFFIA