“Le Rane”: Non la solita canzone: tra comico e tragico, la poesia collettiva che (forse) ci salverà al Teatro Fontana di Milano
βρεκεκεκέξ κοάξ κοάξ –
Aristofane, Le Rane
“Brekekekè, koax, koax”: così cantano (da 2500 anni), in grottesca competizione con Dioniso, le rane di Aristofane. Quella di questo “Le Rane”, progetto e regia di Marco Cacciola, però, è tutto tranne che “la solita musica”. Lo si capisce fin dall’inizio. Per rimanere in tema musicale, la struttura dello spettacolo richiama alla mente, se vogliamo, gli immortali “vinili”: lato A e lato B. Due facce, in questo caso, tra loro diverse e lontanissime. Il giorno e la notte. Tutto ciò, ovviamente, all’insaputa dello spettatore che, trovandosi inizialmente (Lato A) di fronte a un dialogo tra due personaggi, Dioniso e il suo servo Xantia, e a un sipario chiuso, non può immaginare ancora ciò che presto lo travolgerà.
Certo, i segnali che qualcosa di esagerato è in arrivo ci sono da subito: a un Dioniso al femminile interpretato da una straripante, per fisicità e talento, Claudia Marsicano (già Premio UBU) si affianca uno Xantia (un ottimo Matteo Ippolito) che imperversa senza freni anche tra gli spettatori, suggerendoci che dobbiamo abbattere e dimenticare il tradizionale confine tra palcoscenico e platea; d’altronde è questo uno degli obiettivi del progetto, oltre che dello spettacolo di Marco Cacciola: abbattere le frontiere tra Teatro e Polis, ri-portare il primo, rappresentato in questo caso da attori professionisti, tra la gente, nella comunità, e viceversa, far salire il coro, i cittadini e le loro istanze personali e sociali, al centro del palcoscenico. Ai già citati Marsicano e Ippolito si accompagna una terza attrice, la sorprendente ed eclettica Lucia Limonta, che esattamente come accadeva ai tempi di Aristofane interpreta tutti i personaggi incontrati da Dioniso e Xantia nel loro cammino alla ricerca della poesia, l’unica che può salvare la città.
È l’inizio di un viaggio adrenalinico e allucinato nella comicità del novecento: surreale, pieno di sorprese e riferimenti all’oggi tra Fat Club, boschi verticali, rane canterine, pezzi rap, stand up comedy, gag da avanspettacolo, supercazzole e tutto ciò che ci si può (non) aspettare, in un divertente gioco senza frontiere né limiti. Siamo ormai totalmente immersi nel “lato A” che in realtà, ma questo il pubblico ancora non lo sa, è un grimaldello per scardinare attraverso il comico, la farsa, i riferimenti all’attualità ecc., qualsiasi difesa dello spettatore.
“Brekekekè, koax, koax”, cantano le rane… È la condanna a una ripetizione eterna: un ritornello fatto di domande che l’uomo sembra porsi da 2500 anni, sempre le stesse, così come sembra eterna la ricerca di qualcuno, un poeta, che possa “salvare la città”. È arrivato il momento di cambiare il “lato del vinile”. In questa modalità “bilama”, il lato A ha preparato il terreno, ed è ora che dopo la commedia, a sorpresa, entri in azione il “tragico” e rada al suolo il sorriso che abbiamo impresso sulle nostre facce. Il lato B rompe l’incantesimo della prima parte e il coro dei cittadini (guidati da altri due attori, Giorgia Favoti e l’attore-musicista Francesco Rina) ir-rompe sulla scena, apre il sipario, ci coinvolge nel canto, ci svela un mondo di tenebra e di morte, di grande impatto scenico, in cui tutti, personaggi e cittadini, vengono coinvolti in un rito collettivo in cui Dio e servo diventano parti compenetrate, quasi un tao, facce in bianco e nero della stessa umanità. È un rito che diventa rave, musica ad alta intensità di bpm (ancora una volta la vertigine della ripetizione), festa tragica, quasi macabra, iniziazione, viaggio, sensazione, cosmo, comunità, esperienza estetica collettiva, e allo stesso intima, in cui come dice Nietzsche “l’abisso dell’oblio separa il mondo della realtà quotidiana e quello della realtà dionisiaca” e i suoi protagonisti, alfine stremati, si svelano in un ultimo respiro eterno e liberatorio.
Le sorprese non sono finite: c’è tanta vita, e morte, anche nel “secondo finale”, che non riveliamo.“Le Rane” è uno spettacolo profondamente politico, che si esprime attraverso scelte nette e precise che esprimono un fondamentale desiderio di apertura e osmosi tra palcoscenico e vita reale; non a caso lo spettacolo è anche un progetto che coinvolge, attraverso laboratori, “normali cittadini” che hanno così la possibilità di condividere la scena con gli attori professionisti.
Siamo di fronte a uno spettacolo opulento per ricchezza e numero di suggestioni e segni teatrali. Può stordire (lato A) per la sua velocità; può destabilizzare nel momento in cui rallenta fin quasi a incagliarsi, volutamente (lato B), prima che intervenga il coro e “apra il sipario” e ne prenda finalmente possesso; quel che è certo è che “Le Rane” non è un motivetto estivo, di quelli orecchiabili che ti entrano in testa subito ma che dopo qualche settimana fai fatica a ricordare. Il suo senso complessivo va ricercato oltre le parole, il suono, perfino oltre l’immagine. Oltre. Come la poesia. Oppure la musica, quella vera.
A. B.
“Le Rane” al Teatro Fontana di Milano fino al 10 febbraio 2023
Progetto e regia Gipo Marco Cacciola
con Giorgia Favoti, Matteo Ippolito, Lucia Limonta, Claudia Marsicano Francesco Rina
Fotografia di Luca Del Pia