“L’asino morto”, il noir di Jules Janin
Il protagonista – un flaneur oseremmo dire – a passeggio per le campagne di Vanves, si imbatte nella giovane Henriette e il suo asino Charlot. L’incontro sarà fatale per il giovane borghese. La prima scena de “Lasino morto”, che tuttavia il narratore protagonista sceglie di mostrare ai propri lettori, non è quella del primo incontro, che certo conferirebbe tinte romantiche all’opera, no, la scelta ricade su di un’immagine ben diversa. La scena che peraltro costituisce il titolo del capitolo è il “Mattattoio” luogo in cui si compirà l’esecuzione del caro Charlot, l’asino che fedelmente ha scortato la giovane padrona per perseguire la scalata sociale nella Ville Lumière, dopo essere scappata dal nido familiare. Scegliere di porre il lettore immediatamente davanti ad una scena così sconvolgente, rivela ai lettori più avveduti un’anteprima di ciò che l’opera li riserva. Una lettura dalle tinte macabre e a tratti parodiche.
Henriette rappresenterà per il giovane innamorato un vero e proprio vaso di Pandora: l’incontro con la fanciulla sarà l’inizio di un percorso in discesa intriso di orrori, che culminerà in un finale vile e per nulla inaspettato. Lungo il cammino nefasto il protagonista si imbatte in figure affascinanti che rappresentano la duplicità infinitesimale dell’essere umano: il teorico galvinista, l’errante vagabondo, l’impiccato, l’impalato, l’avido secondino. Incontri che accompagnano e riflettono l’arrampicata sociale – apparente – della bella Henriette. Il lettore più cinico coglierà la comicità nelle non-azioni del giovane Janin, il quale – seppur innamoratosi a prima vista – preferisce riporsi in una stasi sentimentale platonica, ignota agli innamorati incalliti, piuttosto che strappare Henriette al suo triste destino. Da attore-narratore, Janin sceglie di (non) giocare la sua “partita” osservandola da protagonista esterno, gioendo e commiserandosi in totale separatezza.
Tutto ciò viene imbastito sapientemente nel libro “L’asino morto” (Marietti 1820, pp. 256, euro 16, a cura di Giorgio Leonardi) dallo scrittore Jules Janin attraverso una descrizione fitta e dettagliata degli aneddoti ed elementi che ne fanno parte. Un’opera che, sebbene costituita da anacronismi, consente di riflettere sul truce animo umano purtroppo sincronico che, anche nelle circostanze più inopportune, non si risparmia di mostrare la meschinità che lo contraddistingue.
Irene Alimonti