“L’anima dei fiori. Il giacinto. La glicinia. La giunchiglia. Il geranio. La tuberosa. La canfora. La margherita. L’azalea. Il fiore di neve. Il miosotide. L’oleandro” di Matilde Serao
Un “piccolo gioiello dimenticato”, “L’anima dei fiori. Il giacinto. La glicinia. La giunchiglia. Il geranio. La tuberosa. La canfora. La margherita. L’azalea. Il fiore di neve. Il miosotide. L’oleandro” (Edizioni Spartaco, pp. 76, euro 13) di Matilde Serao, parole in prosa lirica che diventano un vero e proprio invito ad amare i fiori, a coltivarli nel proprio giardino e inebriarsi del loro profumo.
In questo settimo volume, secondo le parole di Donatella Trotta – curatrice di questi piccoli volumi – troviamo dei dipinti, “la delicata collezione di acquerelli del XIX secolo di Fanny Robinson (1802-1872)”. Si comincia questa nuova “ghirlanda spirituale” con il giacinto, il “fior cereo”: “la sua ricchezza, la sua nobiltà, la sua forma amano l’isolamento: e in un salotto dove sono dei giacinti, la donna non mette altri fiori…”, è amato dalle persone malinconiche che cercano nelle forme belle consolazione al dolore. La glicinia, senza profumo, “sono meravigliose, quando sono fiorite” e pienamente amate da tutti i sognatori. La giunchiglia, un fiore pallido e stanco, simbolo dell’amore agonizzante e consumato. Il geranio, fiore vivido e lieto, nei giorni tiepidi di giugno. La tuberosa “bianca d’avorio” e con un profumo “troppo forte”, che i fiorai offrono nei giorni d’estate “in lunghi rami, in rametti, in mazzolini”. La canfora vive non più in là del terzo giorno, ma in questo breve tempo fa sentire la sua presenza ovunque con il suo “odore dominante”, triste e dolce. La margherita, “che fiore, una Regina”, con “fresche corolle, di petali olezzanti, di steli verdi e sottili”, con un nome di donna ricco di dolcezza e mestizia, “un nome che per un tempo tutte le madri furono orgogliose di dare alle loro figlie come per sacrarle alle virtù più eccelse”. L’azalea, “ricco e nobile fiore”, dalla freschezza gentile. E ancora, il fiore di neve “che si trova nella parte più settentrionale della Siberia, dove il terreno è continuamente coperto di neve” e vive fino al terzo giorno. Il miosotide che vive sui margini delle acque correnti, “pieno di freschezza, così delicato, così attraente”. Infine, l’oleandro, fiore latino, “dalla chioma lussureggiantemente purpurea come il calore di certe labbra femminili”.
Edizioni Spartaco ripubblica dopo più di un secolo, integralmente, – ma suddiviso in piccoli volumetti – questo capolavoro poetico dimenticato, grazie alla nipote dell’autrice Adriana Taglioni Gherardini e alla delicata curatela della giornalista e scrittrice Donatella Trotta. Non passa, ancora una volta, inosservato il floreale e tenue acquerello di copertina dell’artista Angelo Maisto, che riproduce le linee dell’animo di Matilde Serao, che scrisse questo “composizione” in un periodo poco felice della sua esistenza, dando vita a fiori come dono, come segno di amicizia e come rifugio e serenità dell’animo.
Marianna Zito