L’amore appassionato di “Romeo e Giulietta” al Teatro Ghione
Innumerevoli sono, ogni anno, le repliche nel mondo di questa famosissima pièce teatrale composta da Shakespeare nel biennio 1594-1596 e ambientata tra Verona e Mantova. Secondo le fonti storiche la vicenda di Romeo e Giulietta si svolse nel 1303, quando Verona era governata dalla Signoria degli Scaligeri, una famiglia di ricchi mercanti.
Ancora una volta “Romeo e Giulietta” è tornato, a Roma, dal 13 al 16 febbraio 2020 al Teatro Ghione sotto la regia di Selene Gandini su scene di Marlene Garbo, coreografie di Gloria Pomardi e un magistrale disegno di luci di Luca Palmieri e con gli attori Agostina Magnosi, Federico Occhipinti, Fabrizio Raggi, Marìa Nuti, Matteo Fiori, Francesco Buttironi, Andrea Amato, Caterina Gramaglia, Marco Usai, Elvira Scalzi, Luca Alfonsi, Marinella Giraldi, Filippo Lemma.
In ogni allestimento di questo classico del teatro non si sa mai cosa aspettarsi, e anche in questo caso le sorprese, molte delle quali interessanti, ben curate e ben interpretate, non sono mancate. Si apre il sipario: due grossi tendoni bianchi ai lati della scena, al centro una sorta di enorme grata di ferro; poi, nel corso dello spettacolo, ogni tanto scenderà un’altalena. Un sapiente lavoro di luci, di movimenti, con una sagace coreografia, con un appropriato uso dei commenti musicali che anima di tantissimi significati diversi e intriganti la semplicità della scenografia. Ma la novità comincia a svolgersi già a partire da subito: in questo scarno ambiente entrano gioiosi due piccole figure che più volte entreranno in scena a ribadire la loro giovane freschezza, la loro intrinseca speranza, la luce del futuro in un buio del presente… nonostante la tragedia incombente.
Poi entra in scena la grata di ferro a simboleggiare una gabbia, una prigione, un costringimento: “La gabbia soffoca il desiderio di volare, tarpa le ali alla libertà di ciascuno, mettendo in luce le relazioni e i momenti di solitudine, facendo emergere i diversi comportamenti che l’uomo ha in pubblico o nel suo privato. È un un luogo di passaggio, un luogo di vita permanente, una struttura che osserviamo da lontano e in cui potremmo finire… C’è chi si sentirà artefice di questa prigione, c’è chi la vivrà come naturale condizione, c’è chi la subirà, c’è chi la combatterà, ma è solo scendendo dal palcoscenico che capiremo come distruggerla. La gabbia si trasformerà di volta in volta nella camera di Giulietta, nella sala da ballo dove i due protagonisti s’incontrano per la prima volta, sarà il luogo di scontro tra Montecchi e Capuleti fino a mutare il suo aspetto divenendo cripta e ospitando la morte dei i due giovani amanti”. La gabbia rappresenta il primo (non in ordine gerarchico) interprete muto sulla scena.
I due pannelli bianchi ai lati daranno vita ad una sorta di apparire e non apparire, o, più propriamente, di essere e non essere al quale Shakespeare ci ha abituato. Il risultato è uno spettacolo molto snello e moderno: anzi, oserei dire, attuale.
Giancarlo Filligoi