“L’altra figlia” – Il coraggio di Annie Ernaux
Annie Ernaux scrive, nel 2010, una lunga lettera alla sorella mai vista, mai conosciuta, mai avuta. C’è solo una foto, o forse ce ne sono due o più. Mai avuta, mai conosciuta, mai vista. Scoperta per caso in una giornata d’agosto del 1950 – chissà, forse la stessa in cui, chiedendoci “di non fare troppi pettegolezzi”, ci lasciava Pavese – scoperta dalle parole di sua madre rivolte altrove, “racconta che oltre a me hanno avuto un’altra figlia, morta di difterite a sei anni…”. Una sorella di cui esiste solo l’ombra, su una famiglia che ne ha oramai isolato l’esistenza. Nessuno ne parla.
L’autrice lo racconta dopo sessant’anni dalla casuale scoperta e “L’altra figlia” (L’Orma Editore, 2016, traduzione Lorenzo Flabbi, pp. 88, euro 8,50) ne diventa documento tangibile, la memoria. Un torrente di dolore, di accuse e scuse, paragoni celati. Immagini confuse della sua infanzia, alla scoperta di questa presenza ormai stata e finita, in un prima a lei sconosciuto. La testimonianza di come i sentimenti non cambiano nel tempo, di come serbiamo amore e rancore dopo dieci, venti, cinquant’anni, senza mutazione alcuna dentro di noi. Un amore rivalutato, messo in discussione, capovolto, quello dei genitori verso se stessa.
Chi è l’altra figlia?
Ridefinisce un’assenza attraverso la scrittura, Annie Ernaux. E lo fa senza lasciarci scampo, senza lacrime. Nuda e cruda, come solo la vita – in alcuni casi – sa essere.
Marianna Zito