L’ACCABADORA al Teatro India di Roma
Essenziale e con pochi elementi appare la scena, ma che fin dall’inizio e con il trascorrere della mirabile interpretazione di Monica Piseddu, sembra cambiare di volta in volta divenendo ora ambienti vari della Torino dove Maria si rifugia ancora ragazzina, ora Soreni, nella casa dove Bonaria Urrau, “la Tzia, la sarta del paese, l’Accabadora, l’accoglie come fill’e anima”.
La parete alle spalle di Maria sembra muoversi e mutare con il trascorrere del tempo e degli eventi narrati. Una parete che a tratti sembra trasformarsi in un ventre dal quale fuoriescono gli indumenti che la trasformano ora in ragazza emigrata nel continente, ora nella bambina che trascorre le prime e terrificanti notti a casa della Tzia Bonaria e, infine, nella donna che torna alla propria terra consapevole delle proprie origini e tradizioni, ma con lo struggimento di sentirsi ormai inesorabilmente orfana della donna che l’ha resa veramente figlia: quella madre insieme alla scoperta della sua oscura natura che l’aveva già una prima volta allontanata, e dalla quale ora sul letto di morte deve definitivamente staccarsi .
Inquietante e misteriosa è la figura dell’Accabadora che ci racconta Michela Murgia nella drammaturgia di Carlotta Corradi, a tratti così reale – grazie alla regia di Veronica Cruciani – che sembra quasi di vederla sulla scena insieme a Maria. Nella malinconia e nella determinazione del suo terribile e pietoso compito, nella serenità e realizzazione di sentirsi compiuta come donna diventando madre di Maria, pur non avendo mai concepito.
I temi dell’eutanasia, e della madre surrogata si svelano durante il confronto tra Maria e Bonaria , e quello che a volte sembra essere un percorso interiore di Maria stessa. Una storia che parla prevalentemente di donne, scritta, realizzata e interpretata da donne, suggestiva e coinvolgente in scena al Teatro India di Roma fino a domenica 4 marzo.
Cristina Basciu