“Labambina” di Mariella Mehr
Mariella Mehr ha uno stile forte, crudo che ti divora voracemente il cuore e la mente e le sue parole sono difficili da dimenticare. Insieme a “Accusata” e “Il marchio”, “Labambina” forma una trilogia denominata la trilogia della violenza.
“Non ha nome, Labambina. Viene chiamata Labambina. O ragazzino, anche se è una ragazzina. Non ha nome, Labambina. Non può averlo. Labambina non parla, non ha mai parlato. Tace cupa. Grida e si infuria a volte, invece di parlare”.
Senza nome, senza identità quasi, senza parole, senza dialoghi, Labambina è la protagonista silenziosa di questo romanzo. È stata adottata in un villaggio senza nome anch’esso. È, però, attorniata da una moltitudine di personaggi che, a un primo sguardo, sembrano scialbi ma, quando entrano in contatto con la presenza della bambina si animano dando vita a nuove situazioni, nuovi scenari e nuove perturbazioni. Emergono due tipi di violenze ai danni della bambina senza nome: quella carnale, fisica, ad opera del padre e quella psicologica, a opera della madre. La violenza e la rabbia sono gli unici sentimenti che la circondano e con cui si trova a dover vivere. Tutto sembra essere pervaso dal silenzio che la incastona in quel villaggio, bigotto e senza futuro. Sarà proprio la violenza a essere sua compagna, insieme alla fionda che adopererà in difesa contro cose, persone e animali.
“Labambina” di Mariella Mehr (Fandango Libri, pp. 208, euro 17,50) ha uno stile volutamente sbrindellato, cupo e feroce che non puoi fare a meno di leggere continuamente.
Debora Colangelo