LA VOCE UMANA di Marco Carniti al Teatro Brancaccino
La voix humaine di Jean Cocteau, messa in scena nel 1930, è tra i testi teatrali più rappresentati e riadattati: fondamentale è la trasposizione lirica ad opera di Francis Poulenc nel 1959 e memorabile è l’interpretazione di Anna Magnani nella riproduzione cinematografica di Rossellini del 1948.
La versione di Marco Carniti, in scena fino al 30 ottobre al Teatro Brancaccino, si configura, contraddistinguendosi come una lettura contemporanea di un dramma universale, quale è quello dell’abbandono da parte della persona amata. Il processo di metabolizzazione del distacco, affrontato dalla protagonista – Carmen Giardina – si svolge in uno spazio piccolo dall’allestimento scenografico insolito e innovativo: al centro dello spazio scenico non vi è un letto, simbolo per eccellenza dell’unione amorosa su cui abbandonarsi, ma un totem meccanico costituito da lavatrici impilate l’una sull’altra a cui rivolgersi nel vano tentativo di cancellare tracce e ricordi della persona amata.
Lei, psicoterapeuta ora nel ruolo di paziente – incapace di curare se stessa e gli altri – in veste da camera, è inserita in una meccanica quotidiana in cui si sposta in modo automatico e frenetico tra oggetti che, da un lato, ostacolano il suo movimento ma che, dall’altro, le permettono di sfogare e dimenticare il proprio dolore (le sigarette; la bottiglia d’alcool e di medicine). Donna sull’orlo di una crisi di nervi che rifiuta sia lo specchio per non vedere il proprio corpo distrutto e la distruzione della propria relazione, sia un cane ‘non da donna’, di cui non sa prendersi cura e il cui sguardo di rimprovero sembra essere un monitor che le ricorda il male commesso a Lui.
In questa prigione con elementi contemporanei, invasa dai mezzi di comunicazione con suoni assordanti, facilmente riconoscibili anche per lo stesso spettatore, il telefono è e rimane l’accessorio fondamentale di questa crisi sentimentale ma viene rappresentato nelle sue polifunzionalità: da dispositivo wireless a strumento di connessione audiovisivo. I rumori della tecnologia odierna assurgono alla figura di altri protagonisti, altro soggetto fondamentale e drammatico: una seconda voce sul palco in sé plurima, debole per il segnale e per la durata della batteria, fastidiosa per l’intermittenze ma sempre necessaria in quanto ultimo appiglio di collegamento con l’amato.
Il tema della follia d’amore, con esplicito riferimento a William Shakespeare, nonché quello della menzogna, sono realizzati anche attraverso movimenti di luce che tentano di intensificare i momenti di maggior pathos e attraverso musiche che a tratti sovrastano o sostituiscono la parola vocale. Si viene così creando un ritmo tragicomico e – a tratti – ilare che va dall’accondiscendenza e dalla gratitudine che la protagonista mostra nei confronti del suo amante, alla rabbia e alla farsa di autorappresentarti come donna incredibilmente forte, dotata di una forza a lei ignota.
Questo esperimento teatrale, pur mantenendo il rapporto con il testo originario, prova a porre l’attenzione su come i mezzi di comunicazione contemporanea possano interferire nelle nostre relazioni fino a creare una confusione all’interno di noi stessi.
Eleonora De Caroli
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