La “Via Fortuna” di Francesco Tomacci: da Gli Orchestrali della Kupa a La Gatta Mammona – L’intervista
Francesco Tomacci è il frontman della band Gli Orchestrali della Kupa, ora ribattezzati La Gatta Mammona, una formazione di musica popolare e orchestrale con fiati nata nel 2017 in Basilicata, che ha pubblicato lo scorso anno il disco “Via Fortuna”. La band è composta da Francesco Tomacci alla voce e chitarra, Vito Poletta alla chitarra, Piero Santoro alla batteria, Ermanno D’Avino al basso, Dario Satriani alla tromba. Abbiamo fatto a Francesco Tomacci qualche domanda per saperne di più.
“Via Fortuna” è un titolo di buon auspicio, la copertina però ha colori scuri, l’ambientazione notturna, una strada tra gli alberi, e la luna piena, come è nata l’idea grafica?
Il titolo del disco si è ispirato al nome di una viuzza (appunto Via Fortuna) che si trova nel centro storico della mia cittadina. Un giorno percorrendola pensai che tale nome era perfetto per il titolo di un disco. Il concetto si prestava bene, in quanto aveva la giusta dose di universalità, visto che tutti gli uomini sono in cammino verso una via Fortuna, che è la metafora del perseguimento delle proprie aspettative e dei propri sogni, ma anche di particolarità, perché avrei potuto riversarci la mia esperienza personale. Così mi misi al lavoro e tutto il disco è stato pensato, almeno in parte, tenendo presente questo concetto chiave. Naturalmente via Fortuna non è una via semplice da percorrere: può essere piena di insidie e di ostacoli e non sempre ci appare chiara, anzi, spesso spaventa. Nella copertina ho cercato di rappresentare proprio questo concetto, che tra l’altro descrivo in un passo della canzone che porta il titolo del disco “via Fortuna è una stretta via piena di zingari e saltimbanchi, via Fortuna è un’idea, una dea cieca dagli occhi socchiusi e bendati”.
Il vostro precedente nome “Orchestrali della Kupa” è emerso dopo aver collaborato come percussionista nel disco di Vinicio Capossela “Canzoni della cupa”, come è stato questo incontro? Ti piacerebbe poter duettare con lui in un tuo brano?
Sì, il nome è emerso in seguito a questa esperienza. All’epoca ero impegnato come percussionista nella band del maestro Infantino e Capossela venne a trovarlo per chiedergli di collaborare all’interno del suo disco. Fu così che mi ritrovai, insieme agli altri ragazzi del gruppo, a incidere le percussioni per alcune tracce del disco “Canzoni della cupa”. Fu un’esperienza magica. Rimasi colpito da come Vinicio, che è un artista di un’estrema cultura musicale e letteraria, riuscisse a trarre ispirazione dalla musica popolare e al contempo a rivoluzionarla. E poi quel nome da lui utilizzato come titolo del disco non poté non suggerirmi l’idea che poi ho cercato di attuare: “Gli Orchestrali della Kupa”. Devi sapere che il “cupa cupa”, o meglio, come si dice dalle mie parti, il “cubba cubba” è uno strumento tipico delle mio territorio, la Basilicata. Funziona sfregando la mano opportunamente bagnata su una canna che viene cucita al centro di una tela che viene tesa a mo’ di tamburo sulla parte concava di secchio. La vibrazione produce per l’appunto un suono cupo, che in base alla grandezza del recipiente può essere più o meno grave. La mia idea iniziale era quella di formare un’orchestra fatta di “cubba cubba” giocando sull’antitesi nel nome tra il concetto di orchestra tendenzialmente associato alla musica detta colta e quello del “cubba cubba” legato all’ambito popolare. Poi però ho dovuto, per ragioni tecniche, ma soprattutto per ragioni legate allo stile delle mie canzoni, ridimensionare questa idea. Con la mia band abbiamo lavorato su un altro fronte pur mantenendo il nome che avevo pensato. Duettare con Capossela? Beh, sarebbe un sogno, chissà, Via Fortuna è imprevedibile!
Come si svolge il processo creativo dei brani e da dove trai spunto per i testi?
Solitamente cerco di partire da una melodia, essa mi suggerisce le parole con cui iniziare un testo, ma non seguo un vero e proprio standard quando scrivo. Certe volte posso partire anche dal concetto e a ritroso farmi ispirare da esso la musica. Ad esempio il brano “Possa” o “Mia cara brigantessa” sono nati seguendo il primo metodo, “Via fortuna” con il secondo. Altre volte sono partito addirittura dal ritmo, come il brano “Canta canta”: in questo caso ho fatto prima il testo accompagnandomi con un tamburello e poi ci ho trovato gli accordi. Non ho quindi un metodo univoco, né tanto meno un posto che mi ispira particolarmente. Tuttavia, in linea generale, cerco di seguire il metodo che ho appreso alla scuola per autori e compositori di Mogol. Cercare di essere spudoratamente veri quando si scrive, perché la realtà è già di per sé un’opera d’arte.
Qual è la canzone a cui sei più legato di “Via Fortuna”?
Oltre naturalmente a “Via Fortuna”, ce ne sono due che amo particolarmente, la già citata “Mia cara brigantessa”, che è una ballata dolce dedicata alla mia ragazza, e “Canta Canta”, che è invece una canzone vicina alle sonorità balcaniche, che va a descrivere una tradizione legata al mio paese, “la serenata”. Tra gli obiettivi che mi propongo quando scrivo infatti c’è anche quello di riuscire a dare una immagine delle tradizioni del nostro territorio o dei concetti legati ad esso, andandoli a descrivere come fossero fotografie o spezzoni di film; è quello che ho fatto anche con un altro brano, “Lena lena”, in cui la musica è liberamente ispirata al brano “Pala Tute” dei Gogol Bordello, e il concetto invece ripreso da una canzone popolare del mio territorio. Avrai capito insomma che pur trattando uno stile variegato ed eterogeneo è forte la componente che mantengo con la mia terra e non può non essere cosi, sono originario di un paesino dove in passato si è rivoluzionata la musica folk.
Dove vorresti che portasse la via Fortuna?
Non lo so di preciso perché via fortuna è una via stretta, “un sentiero più nero del fumo” dove spesso ci si sente soli ma dove in realtà c’è tanta gente in fila che aspetta il proprio turno. Ci si orienta semplicemente seguendo il cuore. Quello che mi auguro è che, ovunque essa vada, mi porti a essere soddisfatto e appagato.
Stai lavorando a nuovi brani con la band?
Certo, siamo in piena attività. Stiamo lavorando a un brano che spero esca a luglio, si chiama “Balla Mondo” parla del particolare momento storico che ci troviamo a vivere dove tutto il mondo è in “ballo” a causa di questo dannato virus. Sarà una canzone che ancora una volta andrà a richiamare le sonorità popolari tipiche del sud Italia, la tarantella e la pizzica, ma con una tematica che ci riguarda da vicino. Il focus dal mio progetto è proprio questo. Ispirarsi alle musiche dei popoli non per un “revival”, ma per una proposta nuova che deve essere coerente con i nostri giorni.
Quali sono i vostri prossimi progetti, nonostante questo sia un periodo difficile per la musica?
Con la speranza che tutto torni presto alla piena normalità stiamo costruendo lo spettacolo della nostra tournée dove, oltre ai brani inediti del disco, ci sono anche tante sfiziose cover. Devo dire che sono davvero soddisfatto di come sta uscendo il tutto e non vedo l’ora di proporlo nelle piazze delle nostre città. Oltre al brano che ti dicevo nella domanda di prima, in progetto nei prossimi mesi ce ne sono molti altri, l’obiettivo è tirare fuori una canzone ogni 2/3 mesi con annessi videoclip; siamo in una sorta di smart working anche noi.
Da Orchestrali della Kupa a La Gatta Mammona, come mai c’è stato il cambio di nome alla band?
Era da un po’ che ci pensavo. Semplicemente è un titolo che amo. Un abito di scena che mi ha accompagnato per lungo tempo e che era stato riposto per un po’ in armadio. È una bandiera che sento fortemente rappresentativa di quello che faccio e che sono. Deve sapere che ha una lunga storia. La Gatta Mammona è stata fondata anni fa con un gruppo di amici grazie a un progetto scolastico ideato e seguito dal prof. Emilio Salierno “Sia Benedetta la Gatta Mammona”. L’allora obiettivo del progetto rappresenta tuttora il focus del lavoro che cerco di portare avanti, la musica popolare come spunto per una riproposta; naturalmente il tutto si rifaceva alla grande opera condotta da Antonio Infantino negli anni 70. Questo laboratorio portato avanti da me, Fiorello Toneatto alle tastiere, il “buon sardo” Lorenzo Chessa alla chitarra, Danilo Tomaccio al mandolino, Antonio Vizzuso alle percussioni, Gaetunder Degrazia al basso e Vincenzo Barbarito alla batteria poi si è arrestato nel 2016 e adesso ho deciso di rilanciarlo in una nuova veste. La Gatta Mammona sarà un po’ il mio nome d’arte, un po’ il nome di un gruppo, sarà una dimensione. Certo sarebbe bello se qualche vecchio amico tornasse a farne parte e aggregarsi all’attuale nucleo di musicisti della Gatta che, con un pizzico di presunzione, dico che sono i migliori della Basilicata. C’è il mitico Vito Benedetto Paletta alla chitarra, si è diplomato in conservatorio l’anno scorso ed è una forza della natura inarrestabile, con la sua maestria riesce a spaziare facilmente in ogni stile e genere musicale rendendo ogni suo intervento uno spettacolo a sé nello spettacolo. C’è Dario Satriani ai fiati, anche lui diplomato in conservatorio nel suo strumento, elegante e preciso con la sua tromba che è diventata ormai una cifra stilistica negli arrangiamenti. Nei live ama lanciarsi in magnifiche improvvisazioni che lasciano puntualmente tutti a bocca aperta. C’è Piero Santoro e Ermanno D’Avino l’uno alla batteria, l’altro al basso, entrambi studiosi presso il conservatorio “Carlo Gesualdo da Venosa” di Potenza, costituiscono un corpus unico di groove e ritmo che rappresenta l’ossatura portante delle canzoni. Riescono brillantemente a sintetizzare i loro animi blues ai ritmi tribali che tanto utilizzo nei miei brani, il risultato è una fusione stilistica unica nel suo genere. E c’è la new entry Salvatore Pace un brillante giovane organettista anche lui prossimo al diploma in organetto diatonico presso il conservatorio Tachaikovsky di Catanzaro. Già largamente conosciuto nel panorama lucano per la sua bravura è la vera ciliegina sulla torta della band. Con lui l’organetto si sveste di quella patina che lo vede erroneamente uno strumento ad uso esclusivo del folklore e diventa invece un mezzo per esplorare mondiali musicali inimmaginabili. Insomma ce ne saranno delle belle!
Roberta Usardi
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