La stagione del Teatro Franco Parenti di Milano si apre con il debutto di “Coltelli nelle galline”
La nuova stagione del Teatro Franco Parenti di Milano parte in quarta presentando la nuova produzione insieme a Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival, “Coltelli nelle galline” (titolo originale Knives in Hens) per la regia di Andrée Ruth Shammah, dal testo del drammaturgo scozzese David Harrower.
“Non devi essere una cosa per essere come quella cosa.”
Per questo spettacolo è stato effettuato un allestimento particolare: lo spazio è quello del foyer e i posti a sedere circondano il palcoscenico; il pubblico seduto nelle prime file è a poca distanza dagli attori e fa da contorno alla dimensione atemporale in cui si svolge l’azione. Siamo in piena campagna, in un cottage in cui vive una coppia di coniugi dalle personalità molto diverse che già dalle prime battute emergono. La moglie, la giovane donna (che non verrà mai chiamata per nome) tenta in ogni momento di scavare in ogni parola, di scoprirla, di darle un significato e per questo non comprende similitudini o paragoni, lei cerca la pura essenza, la concretezza, così come forse cerca anche se stessa. Il marito William, invece, è molto più pratico, non si fa domande, procede imperterrito nel suo lavoro e dalla moglie non pretende nient’altro se non l’essere una brava moglie lavoratrice. Ma questo accade fino a quando William chiede alla moglie di andare dal mugnaio per far macinare il grano e la istruisce sull’unica cosa che deve fare per riuscire nell’intento: odiare quel mugnaio, che ha la fama di aver ucciso moglie e figlia. La giovane donna, con tutti i suoi vaneggiamenti e i suoi pensieri si trova ad affrontare qualcosa di nuovo che le permette di scavare in altre parole, dettata dalla curiosità. Il mugnaio Gilbert la incanta, forse solo per il semplice fatto di essere “altro” rispetto a William, e questo incontro porterà a conseguenze inaspettate.
Il testo di Harrower è interessante e arguto anche se non sempre è facile seguire il filo della storia; si racconta di tre solitudini e tre identità diverse che non riescono ad amalgamarsi e questo mancato incastro forse crea anche un certo scollegamento. La giovane donna, interpretata da Eva Riccobono, è persa nella ricerca di se stessa verso l’identità che le appartiene, dall’inizio alla fine; si porta appresso una versione in miniatura di sé che posiziona ad ogni scena in ambienti anch’essi in miniatura e che si collegano alle proiezioni sul fondale che fanno da didascalie. William, suo marito, soprannominato ironicamente “Pony” William per la sua passione per i cavalli (e le “puledre” in particolare), interpretato da Maurizio Donadoni, è un uomo che pensa a se stesso e che, nonostante la bella moglie e la vita tranquilla, ricerca il piacere altrove. Due solitudini che dormono nello stesso letto, lei ingenua e curiosa, lui rozzo e scaltro. Il mugnaio Gilbert, impersonato da Pietro Micci, è l’unico che riesce a cambiare davvero e a uscire da un ambiente oramai diventato per lui troppo contaminato per poter continuare a vivere.
“Non c’è tormento o infelicità in me, allora è Dio!”
Per questo spettacolo è stato svolto un notevole lavoro: la regia di Andrée Ruth Shammah è interessante e ben precisa, straordinarie le scene di Margherita Palli e da segnalare anche le belle luci di Camilla Piccioni e le musiche originali di Michele Tadini.
In scena al Teatro Franco Parenti fino al 20 ottobre 2019.
Roberta Usardi