La sensibilità antiaccademica: l’artiste des artistes de la Belle Époque
Una vibrante giornata di primavera adorna Catania di mirabile luce. I mascheroni grotteschi si lasciano lusingare dagli sguardi dei passanti, restituendo teatralità alle strade attraverso metafore visive e simbologie allegoriche. Cullati dai tenui raggi, inevitabilmente si decide di perdersi fra le vie, e tra la purpurea Jacaranda in fiore di Piazza Vincenzo Bellini, e le fitte fronde delle alte palme che si stagliano su un commovente cielo turchese, non si può rimanere inerti al fascino del quattrocentesco Palazzo Platamone. Una volta all’interno, però, si viene catapultati in un’altra epoca, una nuova realtà con diverse cromie e molteplici sfaccettature del piacere. La vitalità del sole viene sostituita dall’uso sempre più pervasivo dell’energia elettrica che fa rifulgere le notti della Belle Époque, le cornici barocche cedono il passo alle litografie, i tipici suoni della città convergono in un concitato can-can.
Artefici di questo inusuale viaggio nel tempo, il gruppo Arthemisia e il Comune di Catania che hanno organizzato e promosso “Toulouse-Lautrec. La Villa Lumière”, mostra curata da Stefano Zuffi a Palazzo della Cultura fino al 3 giugno. Non si ha l’impressione di trovarsi innanzi al solito vorace allestimento, anzi, si avverte la necessità di dare voce proprio al Visconte di Lautrec che, fin da bambino, scelse il disegno come mezzo espressivo d’elezione per raccontarsi, ora nelle vesti di aristocratico, amante della raffinatezza e appassionato di cavalli, ora abile pittore fuori dal solco della tradizione, precursore del linguaggio pubblicitario, antiaccademico, e, ancora, bohémienne creativo pervaso da un’inveterata malinconia che ottenebrava con lustrini e alcool.
Tra le diverse sale, si snoda un percorso di vita indissolubilmente legato all’ultimo ventennio del XIX secolo, da cui si lascia ispirare e contemporaneamente ne è fra i più prolifici narratori. Le sue opere, infatti, sono incisive testimonianze, talvolta caricaturali, della cultura e dei personaggi che animano le notti parigine. Grazie alla commissione dell’autore di satira, lo chansonnier Aristide Bruant, per la cui esibizione alll’Aux Ambassadeur realizzò il celeberrimo manifesto, tanto inviso al proprietario quanto difeso dallo stesso Bruant, divenne il punto di riferimento per molte celebrità che si esibivano al Moulin Rouge, les Folies-Bergères, e al Jardin de Paris. Ma il suo intento era cogliere non solo la gloria che riserbavano loro le luci della ribalta, bensì ogni espressione, anche quella più cupa, perché “la pregnanza di significato prevale sulla messa in scena”. Per la cantante Yvette Guilbert realizzò una serie di litografie in cui, esasperandone le peculiarità fisiche, ne ritraeva la personalità, e dell’esplosività della ballerina Jane Avril, non ritrae altro che l’eleganza da spettatrice al cabaret Divan Japonais e la stanchezza durante l’esecuzione dell’ennesimo can-can al Jarden de Paris.
La costante variante dicotomica della vita di Henri Toulouse Lautrec si esplicita illustrazione dopo illustrazione: sul tema della malinconia si innesta il mai sopito desiderio di poter montare in sella a un destriero – in esposizione la litografia Il fantino, 1899, e parte di Courses, serie dedicata alle corse dei cavalli – ; nell’ambito dell’impegno intellettuale, la collaborazione con i journaux humoristiques, Le Rire, L’Escaramouche, con il giornale letterario La Revue Blanche, e le illustrazioni per la raccolta di racconti sulla vita delle comunità ebraiche di George Clemanceau, Au Pied du Sinai.
Menzione d’onore all’audioguida Valore Cultura Generali, e in particolare agli approfondimenti relativi alla tecnica della Litografia, all’influenza della cultura giapponese, e alla struggente storia d’amore platonico con la Passeggera della cabina 54, 1895.
Chiara Principato