“LA SCORTECATA” DI EMMA DANTE AL TEATRO BELLINI DI NAPOLI
“Chi bello vo’ parè, guai e pene adda’ patè”
Emma Dante porta in scena al Bellini di Napoli “La vecchia scortecata” di Giambattista Basile. La magia del teatro non ha limiti e così, come per ogni favola che si rispetti, c’è bisogno di un patto di fiducia tra chi mette in scena l’opera e gli spettatori. “Fidatevi di noi” sembrano dire la regista e i due attori, vi porteremo in un regno incantato e senza falsi orpelli vi racconteremo la storia di Caterina e Rusinella. È una favola, c’è un re, un castello, una fata, la bella giovane da sposare e poi ci sono loro, le due vecchie sorelle decrepite, brutte come la morte, lasciate sole a invecchiare insieme. Una lo specchio dell’altra. Così tanti personaggi per due soli attori, direte voi? Si, perché il patto di fiducia sta proprio in questo.
Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola sono contemporaneamente il re, le vecchie sorelle, la fata e la giovane sposa. Basta davvero poco perché un copricapo possa far diventare re anche una vecchia incartapecorita dall’età. Una parrucca rossa trasforma tutti in bellissime donne da sposare. Due grandissimi attori che come nella commedia dell’arte settecentesca vanno a interpretare figure femminili. La scenografia è scarna, due sedioline di legno trasformano un teatro in un “vascio” napoletano e un castello in miniatura tutta Napoli in un regno incantato. Fari gialli fanno apparire il soffitto una volta celeste. Emma Dante ci restituisce, facendo proprio il racconto di Basile, una favola dei nostri nostri, attuale come non mai nell’epoca del narcisismo sfrenato e del selfie a tutti i costi. “LA SCORTECATA” parla di due donne anziane che non si arrendono al passare del tempo, al trascorrere inesorabile della propria gioventù, parla di solitudine e tristezza. E lo fa con una lingua che chiamarla musica è riduttivo: il napoletano arcaico. I due attori danzano con una porta in una bellissima scena a tre, scambiandosi i ruoli diventando tutto e tutti, ora re innamorato folle di una voce angelica ora la vecchia dal dito vellutato “allisciato” da un continuo succhiare.
Antonio Conte, “Marina” (acrilico su carta da pacchi 100×140)
La pièce si apre con le due sorelle intente a lustrarsi il dito e a litigare, a buttarsi addosso antichi rancori e vecchi dissapori, amori mancati e complimenti a dir poco infelici. Solo in un secondo momento ci raccontano il perché di tutto questo “zucare” quando, con un colpo da maestro, la vecchia diventa re sotto ai nostri occhi da bambino. Sarà una lunga corsa verso un finale tragico con una luce bellissima, inquietante, una pelle finalmente resa bianca da tanto scorticare, come in alcuni dipinti di Mattia Preti.È tutto così dannatamente perfetto sulla scena che almeno in un paio di momenti scattano gli applausi, aspettando di poter dare sfogo alle mani sul finale, perché i due attori sono veramente strepitosi e, come nella vita, ci fanno sorridere, scandalizzare e ci fanno innamorare. Per poi morire, di quell’amore.
Antonio Conte