La regia straordinaria e geniale di Davide Livermore per “Elena”
Ciechi / voi che gloria cercate con guerre, con aste possenti, vano termine tentando alle umane sofferenze. / Mai fra le città verrà meno la discordia, finchè deciderà la lotta cruenta. “Elena”, Euripide.
L’Estate Teatrale Veronese si è chiusa al Teatro Romano il 14 settembre con uno spettacolo indimenticabile, grazie alla collaborazione con l’Istituto Nazionale del Dramma Antico. “Elena” di Euripide, la tragicommedia rappresentata per la prima volta nel 412, è stata trasformata e cesellata magnificamente da Davide Livermore, regista impegnato socialmente, anticonformista, più famoso all’estero, ma che ha firmato la regia di Attila di Verdi alla Prima della Scala di Milano. Laura Marinoni è la bella e sfortunata Elena, che appare meravigliosa in un vestito scintillante (nota di merito per gli eccellenti costumi di Gianluca Falaschi), e la cui sventurata storia viene anticipata dalla proiezione video: un lungo pannello sarà protagonista suggestivo e dirompente, mare e cielo, visioni e ricordi della protagonista alla ricerca di se stessa.
La prima sorpresa è l’elemento acqua, che riempie l’intero palco e si rende scenografia per gli attori: i vestiti scivolano su di essa, gli attori la attraversano, la usano, la vivono. L’acqua e la sua memoria, è il Nilo ed è uno specchio per Elena, la quale si trova in un luogo sacro e protetto, davanti alla tomba di Proteo, in Egitto. L’effetto sonoro è armonizzato ancor più da alcuni sensori e lo spettacolo è potente, tenebroso, le musiche di Andrea Chenna segnano un tempo inesorabile e avvincente, una sonorità che desta e sottolinea il tempo della presa di coscienza. Elena è divenuta, senza colpa vera, sinonimo di disgrazia e guerra cruenta: per permettere la sua salvezza, gli dei crearono un fantasma identico a lei e quella forma in realtà inesistente ha permesso una guerra lunga anni, morte e distruzione. Gli animi di gran parte dell’umanità sembrano non evolvere mai, combattono e si uccidono gli uni contro gli altri per cause rarefatte, leggere come l’aria che non si vede, per qualcosa che non esiste. Il coro greco, personaggio collettivo e attivo assieme ai protagonisti principali, dal nero potente del principio, evolve in maniera eccitante, con enfasi e perfezione: Bruno di Chiara, Marcello Gravina, Django Guerzoni, Giancarlo Latina, Silvio Laviano, Turi Moricca, Vladimir Randazzo, Marouane Zotti.
Menelao, Sax Nicosia, marito di Elena, giunge naufrago sulle rive d’Egitto, ma Una vecchia, Maria Grazia Solano, tenta di scacciarlo perché straniero e quindi non gradito. Ma ben presto ritrova la vera Elena e i due possono felicemente ricongiungersi. E se tutto avviene per volontà degli Dei, ecco che lo spettacolo acquisisce toni da opera lirica, l’emozione sale rapida e intensa e il registro teatrale abbraccia ora un tempo inglese del 1800. Il pubblico gode di un gran ballo a corte, ci sono i candelabri accesi, il coro porta magia e intensità e si apre uno scenario che potrebbe essere considerato uno di quei momenti davvero indimenticabili: l’entrata in scena della profetessa Teonoe, colei che conosce le cose divine, Simonetta Cartia, è una breccia luminosa nel palcoscenico che, decidendo le sorti di Elena e Menelao, alza ancor più il tenore artistico. Teoclimeno, Giancarlo Judica Cordiglia, introduce una vena quasi goliardica e decisamente comica e la sua pretesa di voler sposare la donna più bella del mondo, viene beffata dall’intrigo escogitato contro di lui.
“Elena” di Davide Livermore, con la piacevolissima traduzione di Walter Lapini, è uno spettacolo totale e intrigante, forse con qualche vezzo stilistico eccessivo, ma dotato di quella padronanza di saper plasmare un’opera e donarla al pubblico come un assoluto capolavoro.
Silvia Paganini