La rappresentazione fotografica del dolore secondo Susan Sontag
Susan Sontag si interroga, riflette, scrive sulla visione del dolore che colpisce gli altri, sulla visione della guerra – anzi le guerre – e su quanto possa essere orrorifica, in taluni casi, la visione stessa della morte. Dolore che ci attraversa e ci ha attraversato con le immagini che di questi episodi sono rimaste testimonianza. Quelle fotografie veritiere o artefatte che ci lasciano senza via di fuga davanti al dolore degli altri o, forse, a quel dolore ci lasciano impigliati. Ma perché?
“Vediamo se, guardando le stesse fotografie, proviamo gli stessi sentimenti” scriveva Virginia Wolf di fronte alle immagini della guerra civile spagnola, in cui uomini, animali o macerie sembrano la stessa cosa, “stiamo guardando insieme gli stessi corpi privi di vita, le stesse case in macerie”; ma a chi sono indirizzate queste immagini, solo a chi può davvero comprenderle? Naturalmente per ognuno avranno una connotazione e un significato diverso, in base alla propria cultura e alla propria identità. E ancora, quale è il valore etico di queste immagini? Come reagiamo davanti a questi dolori che non ci appartengono ma che sentiamo comunque vicini? Quanto ci trasmette un’immagine della realtà di quel dolore? Siamo davvero compassionevoli davanti a uno spettacolo atroce o siamo legati alla spettacolarizzazione che da esso ne deriva?
Sono tante le domande a cui Susan Sontag ci mette di fronte, così come sono tante le sfumature che accompagnano ogni singola immagine, a catturare un episodio che scopriremo forse artefatto o, peggio ancora, costruito di proposito per rimanere impresso nell’immaginario collettivo; costruito da grandi uomini e donne – inevitabile pensare a Robert Capa – che hanno segnato la nascita e lo sviluppo della fotografia, che sono stati reporter di guerra e che il più delle volte, per disgrazia o per colpa altrui, in quelle guerre hanno perso la vita. Pubblicato per la prima volta nel 2003 “Davanti al dolore degli altri” (2021, pp. 147, euro 15), ci ritorna tra le mani grazie alla casa editrice nottetempo, con la traduzione di Paolo Dilonardo, continuando a farci riflettere sull’artifizio, sui media, sul voyeurismo, sull’indifferenza, sull’orrore, sulla perversione e su quanto faccia comodo, in taluni casi, stare davanti al dolore degli altri.
Marianna Zito