“La Plaza” dal collettivo catalano El Conte de Torrefiel in scena al Teatro Argentina
Nell’ambito della 15° edizione di “Short Theatre”, il Teatro Argentina ospita il 12 e 13 settembre “La Plaza”, pièce ideata e composta dal collettivo catalano El Conte de Torrefiel, con la regia di Tania Beyeler e Pablo Gisbert, in corealizzazione con Teatro di Roma – Teatro Nazionale.
Il sipario si alza. Sul palco una distesa di fiori e candele, sullo sfondo uno schermo scuro, silenzio. Per quanto tempo posso provare piacere a osservare la stessa immagine? È una delle domande che dopo poco lo schermo ci rimanda, orientandoci piano verso la riflessione sul XXI secolo che, a 20 anni dal suo inizio, ha portato alla luce conflitti, tensioni, eventi drammatici, il controllo del tempo come priorità. È la descrizione del progetto che stiamo osservando: l’installazione è parte di uno spettacolo in simultanea in 365 città in tutto il mondo e della durata di un anno intero. Ne stiamo vedendo gli ultimi istanti.
Il sipario si abbassa. Lo spettacolo è finito, si alzano le luci. Si esce dal teatro e si ritorna alla quotidianità.
Si rialza quindi il sipario e siamo nella plaza, ci camminiamo ascoltando la nostra playlist preferita, la percezione di ciò che ci circonda cambia in base alla musica che ascoltiamo, allo sguardo che adottiamo. Siamo circondati da gente, siamo in mezzo al nemico numero uno, il musulmano; siamo in mezzo a militari, donne con le buste della spesa, amici che si incontrano; un senza tetto che legge o che chiede l’elemosina, campane in sottofondo. È una plaza che si popola e spopola, che muta, ma è sempre la stessa. Proprio come noi. Sempre con la nostra musica nelle orecchie, facciamo la strada verso casa, siamo costretti a cambiare percorso, vediamo cose che non avremmo altrimenti visto, sbirciamo dentro le case altrui, e c’è gente come noi, anche lì, che fa le stesse cose che facciamo/faremmo noi. Incontriamo un’amica, ci beviamo una cosa, ma poi vogliamo tornare a casa, guardare un porno, cercare informazioni su internet, lasciarci prendere dai pensieri, i nostri, in solitudine.
Mentre i venti performer col volto coperto e l’atmosfera ovattata riempiono il palco, i sopratitoli in italiano e in inglese scorrono sullo schermo, una sorta di flusso di coscienza che racconta una parte di noi al pubblico. Si susseguono le scene, fino a quella finale: una donna su un lettino, nuda e col volto scoperto. L’unico volto scoperto di tutto lo spettacolo: è la morte che ci libera? La morte che rende visibili agli occhi degli altri? Che spezza solitudine e isolamento, ricordandoci che siamo parte di una collettività?
El Conde de Torrefiel ce la racconta così la piazza, uno spazio cittadino, con uno sguardo soggettivo: tutto ciò che lo spettatore riceve, proviene dalla percezione di una sola persona. Un parallelo tra il teatro e la piazza. Entrambi con forme e corpi che si muovono in uno spazio che è molto personale e, se lo si vuole, può diventare collettivo. Entrambi narrano il presente, ma con richiami al passato. Il lavoro de El Conde de Torrefiel nasce nel 2015/2016 a seguito degli attacchi terroristici di Barcellona, Parigi e Bruxelles. Eventi questi che cambiano la percezione dello spazio aperto e di chi lo abita. Vedere lo spettacolo in un oggi ancora afflitto dalla pandemia, in un teatro sold out, ma comunque semivuoto, acquista una forza nuova e ulteriore, ancora più personale e collettiva allo stesso tempo.
Una piccola nota di demerito va al Teatro e/o allestitori in base alle rispettive responsabilità: lo spettatore o il recensore deve essere messo in condizione di poter usufruire pienamente dello spettacolo. Pertanto, se ci sono posti da cui i sopratitoli sullo schermo non sono visibili (e i sopratitoli sono parte integrante e fondamentale dello spettacolo), sarebbe il caso di non rendere quei posti disponibili oppure sarebbe il caso di rivedere l’allestimento per permettere a tutti di godere a pieno della bellezza dello spettacolo.
Laura Franchi