“La nostra Siria grande come il mondo”, la libertà che tarda ad arrivare
La nostra Siria grande come il mondo (add Editore, pp. 162, euro 16) è la storia scritta a due voci e quattro mani, da Mohamed Hamadi e Shady Hamadi, padre e figlio.
La Siria, l’Italia, il mondo intero
Mohamed Hamadi nasce nel 1943 a Talkalakh, un piccolo paese siriano al confine con il Libano. Crescendo, si avvicinerà alla politica, a quel panarabismo che resta ancora oggi un miraggio per il mondo mediorientale. Per questo, venticinquenne, sarà costretto a lasciare la Siria prima e il Libano poi, dove frequenta l’università, muovendosi tra Kuwait, Italia, Spagna. All’inizio perché costretto, e poi per lavoro, a volte dovendosi fingere qualcun altro, altre con passaporti e visti più o meno facili da ottenere, a seconda del contesto e degli appoggi. Siamo alla fine degli anni ’60, quelli in cui la violenza prevarica riflessione e preparazione culturale, gli anni in cui Mohamed dovrà affrontare più volte l’arresto, per le sue idee e attività politiche, e la dura esperienza del carcere.
Negli anni ’70 approda in Italia, che diventerà la sua casa, e dove per la prima volta nella sua vita potrà sperimentare la libertà, quella legale che ti consente di avere idee ed esprimerle, di muoverti da libero cittadino del mondo. Insieme alla moglie, si riavvicinerà ancora alla politica, diventando nel 2002 consigliere comunale di Sesto San Giovanni. Nel 2012, tuttavia, lascia la politica in via definitiva, rendendosi conto che le decisioni sono spesso calate dall’alto, e per il singolo è davvero difficile incidere sul territorio. Non tornerà più in Siria.
È proprio in Italia che nasce, nel 1988, Shady Hamadi, da padre siriano, madre italiana e con una sorella acquisita, nata da padre iraniano. Un contesto multiculturale e multireligioso che sin dalla tenera età fa emergere l’elemento chiave e distintivo della vita di Shady, il dialogo. La sua però è anche un’eredità che lo porta a farsi domande e a peregrinare tra Italia, Siria, Inghilterra, con quella libertà di cittadino del mondo che il padre ha dovuto duramente conquistare. Si avvicina in qualche modo anche lui alla politica, principalmente attraverso la scrittura, ma prevale il senso di frustrazione per l’impossibilità di cambiare situazioni che non c’è volontà di cambiare. A questo, si aggiunge la “normale” frustrazione della sua generazione che vede sfumare sogni e opportunità di lavoro.
Il miraggio della libertà
Un libro apparentemente semplice. Un padre e un figlio in qualche modo a confronto sulle stesse tematiche viste però da punti di vista diversi, vissute da punti di vista diversi. Eppure, queste pagine sono molto più complesse di così, perché affrontano tematiche universali e allo stesso tempo estremamente soggettive, e proprio i diversi “tormenti” di padre e figlio ne sono la testimonianza.
Si scrive di questioni che conosciamo più o meno bene tutti, a ondate alterne ci investono tra telegiornali e media vari, ma per chi le vive non ci sono altalene, è la vita reale e costantemente in difficoltà, anche quando i riflettori si spengono. Sono dunque temi attuali e molteplici, tutti difficili da esplorare e tutti riconducibili a quell’unica solita parola, libertà. E proprio per questo impossibili da capire fino in fondo se si è nati in un Paese ormai da tempo libero e democratico. Forse per questo non si empatizza abbastanza con chi passa la vita scappando? La passa da rifugiato? Da diverso in un Paese che non è il suo, perché nel suo non ci può restare o tornare?
È in Italia che Mohamed conquista la libertà intesa come riconoscimento legale da cui conseguono diritti inalienabili, quelli all’identità e alla libertà di movimento. È in Italia che Shady nasce e cresce in mezzo a quella stessa libertà che gli permette di scegliere cultura e religione, eppure si sente oppresso per chi, a differenza sua, non riesce ad averla. Forse è proprio questo senso di oppressione e di impotenza il punto vero di incontro tra padre e figlio, l’occasione del dialogo più profondo, delle confessioni mai fatte prima. Tanto Mohammed quanto Shady, mettono bene in luce le contraddizioni della Siria, dilaniata da anni dalla guerra, e di un popolo il cui futuro non è nelle sue mani: troppo forte la pressione di Paesi che sulla pelle dei siriani portano avanti i propri interessi, rendendo impossibile una soluzione della guerra. Una Siria che si trozza anche da sola, col giogo della religione. Forte è la critica di Mohammed e Shadi verso il mondo arabo che proprio non ce la fa a dividere senso civico e religione.
“La Siria è certamente un Paese splendido, ma dietro ogni muro conserva un segreto, un’umiliazione, un silenzio. A Palmira, mentre chiamavo festoso mio padre ignoravo la presenza di un carcere di massima sicurezza dove migliaia di detenuti venivano massacrati, gettati in qualche buco e dimenticati nel deserto. Guardavo solo il tramonto in compagnia di una ragazza…”
E purtroppo, l’Occidente fin dagli anni ’90 ha preferito non occuparsi di quel in Siria già stava accadendo: i rapporti diplomatici tra Paesi erano buoni, gli affari pure e dunque, perché preoccuparsi?
Pagine di rabbia
Sono pagine che fanno rabbia perché da tempo immemore senso civico, politica, religione e cultura si mescolano, troppo e su livelli troppo diversi, a uso e consumo l’uno dell’altro e con lo scopo principale di dividere per controllare. E in questo ci mette del suo anche la deriva mediatica creata ad hoc per far nascere mostri e paure che non esistono se non per tornaconti personali (di partito) o poco più. Lo spauracchio dello “straniero in Italia”, un leitmotiv che piace a tanti.
Sono pagine che lasciano l’amaro in bocca, perché ci rendono consapevoli che certe situazioni non cambieranno o richiederanno un tempo inimmaginabile per farlo, farlo davvero.
Eppure, le righe conclusive sono quelle di un sogno e di una speranza che, però, va alimentata.
“Tutta la Siria è in festa” grida un bambino.
“Stanno tornando, stanno tornando tutti.”
Non capiamo di chi parlano.
“Stanno tornando…”
“Chi, chi?”
“Non lo sapete?” Ci domanda sorpreso. “Gli esiliati. Sono tantissimi, almeno tre generazioni. Ogni abitante ha un parente che torna.”
A oggi, però, “I siriani abitano il mondo, mentre il mondo non abita più la Siria”.
Laura Franchi