La musica di Dheli: dall’ultimo singolo “Divorato” al progetto “Future Vintage” – L’intervista
Lo scorso 13 novembre è uscito per Indieca Records “Divorato” il nuovo singolo di Dheli, all’anagrafe Gabriele Deliperi, artista spezzino, ma di casa a Milano da qualche anno. Dheli è autore, cantante, arrangiatore e produttore e ha scritto brani anche per altri artisti prima di intraprendere la carriera solista nel 2018. Il suo primo singolo “Non ti lamentare” è uscito a settembre 2019, seguito da “Il mondo da una stanza” e “Odore di teen”. Da qui parte il progetto “Future Vintage” un concept che include brani con sonorità vecchie e nuove insieme, iniziato con i singoli “M1lano” e “Future Vintage”. Abbiamo fatto due chiacchiere con Dheli per andare più a fondo nel suo progetto musicale.
“Divorato” è il tuo nuovo singolo, un brano composto da Okke; ho letto nel comunicato stampa che quando l’hai ascoltato è stato un colpo di fulmine, cosa esattamente ti ha colpito così tanto da volerla cantare?
Okke è un artista spezzino come me, anche se io da un po’ di tempo abito a Milano. Di un brano musicale, quando mi piace, mi colpisce spesso o il mix completo, ovvero il brano musicale finito, o alcune cose che possono riguardare la parte strumentale o l’arrangiamento vocale delle melodie o più semplicemente il testo. Di “Divorato” mi ha colpito tutto, sia l’arrangiamento musicale strumentale datto da Elia Martorini sia l’arrangiamento delle voci fatto da Okke; a livello musicale queste due cose mi hanno emozionato, in più il testo mi rispecchia molto. La prima frase “ma in questa vita ti sei chiesto chi sei per davvero?” è qualcosa che si dà molto per scontato oggi, ma ragionare su noi stessi e farsi esami di coscienza, l’essere artisti è anche un po’ questo: combattere mille guerre interiori, farsi mille esami di coscienza prima di andare a dormire, pensare a molte cose, dopodiché si arriva a un punto fermo. Per me “Divorato” è il riassunto di questo e ho colto l’occasione per contattare Elia Martorini, il produttore, chiedere il permesso di chiamare Okke e poter far uscire la canzone. Inizialmente avevo scritto una seconda strofa aggiuntiva perché il brano è molto corto, l’ho proposta a Okke, ma lui ha preferito che il brano rimanesse come lo aveva scritto, quindi ho inserito solo un secondo ritornello per allungare la struttura.
In “Divorato” è presente l’immagine del dolore che divora, per te che sembianze ha?
Per me l’immagine è riferita alle cose che ci mangiano da dentro che, per quanto riguarda me, è voler avere sempre tutto sotto controllo, che da un lato è una cosa positiva, ma dall’altro divora perché appena accade qualcosa su cui non si ha controllo, si impazzisce.
Cosa rappresenta per te lo scatto presente sulla copertina del singolo di “Divorato”?
Quella foto non è stata scattata appositamente per il singolo, fa parte di un altro shooting, però nel pensare al concept di “Divorato” l’ho scelta esattamente per la posizione in cui sono, che non ha un particolare significato. Le mani messe in quel modo invitano a dire “ascolta questa canzone e guarda chi sono veramente”.
Il progetto “Future Vintage” come nasce? Anche “Divorato” ne fa parte?
“Divorato” fa parte del progetto Dheli, ma non del progetto “Future Vintage”, come Dheli non voglio darmi troppi paletti. Ho iniziato in quest’ultimo anno a fare davvero quello che sento, non voglio schiacciare sentimenti che ho dentro per seguire canoni dettati da cose che realmente poi non esistono, anche tutti gli altri artisti fanno la stessa cosa, l’arte è quello che abbiamo dentro e io voglio essere libero di esprimerlo. Sentivo che “Divorato” era una cosa che volevo dire e l’ho fatto. A livello gestionale, discografico e per la parte meno artistica della cosa si investe un po’ di meno perché “Divorato” è una cover e non ciò che va a rappresentare il mio reale progetto, anche se ne fa parte. Per quanto riguarda invece il mio progetto principale “Future Vintage”, che è anche stato il titolo del mio precedente singolo, uscito in occasione della finale del Bologna Musica d’Autore a settembre a Parco Villa Angeletti, ho deciso di unire i miei generi preferiti: le sonorità della musica dance anni ottanta e le peculiarità moderne di canzoni che si ascoltano oggi, soprattutto il punk. “Future vintage” è un singolo molto pop dance che ha sonorità ritmiche di riferimento al punk, è molto allegro, ma anche introspettivo. Racconta molto di me: inizio con una strofa un po’ triste dove dico che fino adesso ho vissuto una vita facendo riferimento a ciò che pensano gli altri, ma poi arriva il ritornello in cui dico che voglio fare quello che mi pare. Ci saranno altri pezzi che raccontano di me, a gennaio è previsto il nuovo singolo e non vedo l’ora.
In “Future vintage” canti “Io mi sento future vintage come la regina Elisabetta che si veste Fendi” e anche “me ne voglio sbattere in eterno come a Milano la statua del dito medio“, è un inno alla libertà senza preoccuparsi del giudizi altrui?
Riguardo ai versi “me ne voglio sbattere in eterno come a Milano la statua del dito medio” la statua in piazza in piazza Affari non la butti giù, è così e basta, se vuoi l’accetti, se no no. Quel verso rappresenta questo, il fatto che io ho capito finalmente cosa voglio dalla mia musica, con il tempo, ma anche con lo studio della materia musica in generale e di tutto quello che mi piace. Studiare è molto importante perché ti fa aprire la mente e sbloccare ingranaggi all’interno del cervello che altrimenti non sarebbero sbloccati, vivere in generale mi ha fatto capire che sono in grado di fare le cose circondandomi di persone che hanno il mio stesso obiettivo, ma anche che sono in grado di farle da solo, e questo mi ha portato a scrivere come sono ora.
Riguardo ai versi in cui cito la Regina Elisabetta ho cercato qualcosa che fosse molto d’impatto perché non immagineresti mai la Regina Elisabetta che si veste Fendi, poi Fendi fa rima con Dheli, è stato tutto calibrato. Mi piace molto che una canzone sia bella anche dal punto di vista della struttura, da come viene scritta, provo un amore verso le canzoni che apparentemente non mi dicono niente a livello di testo, ma hanno in sé una struttura anche a livello musicale, che mi colpisce. Un esempio sono i reggaeton estivi: non dicono niente nel testo, ma quando li ascolto sento la cura sonora e come sono stati arrangiati. Conosco anche le persone coinvolte nella parte musicale e tecnica di questi brani e so che anche loro sono artisti perché anche quella è arte. Una cosa che ci tengo a dire è che un progetto può piacere o no, ma è importante portare sempre rispetto verso chi ha investito tempo, denaro e passione nel costruirlo. Sono dell’idea che quando si hanno forze da spendere è bene creare, non distruggere: quando una persona crea è sempre una cosa positiva e ci deve essere sempre il rispetto per questa persona. Molte volte non ci rendiamo conto della fatica dietro a tutto questo, spesso perché non operiamo nello stesso campo: quando un artista fa uscire un singolo, commentare negativamente (“fai schifo”) non ha senso perchè l’artista magari è stato un anno in studio a scrivere o magari ha trovato difficoltà a portare le emozioni nel brano. Per questo credo che sia importante avere molto rispetto nei confronti degli artisti e di chi lavora perché questa cosa può fare davvero la differenza. Se tutti avessimo più rispetto e ci mettessimo di più nei panni degli altri secondo me la discografia e il modo di lavorare sarebbe leggermente diverso e molto più facile.
Qual è il tuo rapporto con Milano, che nel brano “M1lano” definisci come “la città che mi rispecchia l’anima”?
Vivo a Milano dal 2016, l’anno in cui mi sono diplomato. Avevo le idee chiare fin da subito, ho sempre voluto scrivere, ho iniziato a suonare ascoltando i Green Day e volevo essere come Billie Joe Armstrong. Quando ho iniziato ad ascoltare i Green Day l’ho fatto in un modo abbastanza inusuale, non ascoltando le loro hit di successo, ma comprando un loro disco live: guardando il cantante ho pensato che volevo dare alla gente le stesse emozioni che lui aveva dato a me, quindi ho iniziato a scrivere e a suonare e non ho mai smesso. Alle superiori ho fatto meccanica, una cosa che non c’entra nulla, ma al mio esame portai una scopa di saggina, sopra misi un pickup di ua chitarra elettrica e con le fascette ho fatto i tasti della chitarra e suonai “Smoke on the water”. Alla fine dell’esame sono venuto a Milano, ho studiato all’IRMus e poi ho fatto il CPM. Milano mi è sempre piaciuta come città perché “mi rispecchia l’anima”, è frenetica e io sono ansioso e anche frenetico in un certo senso. Milano era per me la città per eccellenza, anche per il modo di vivere, non so dove sia nato questo sogno, forse per le realtà che ci sono, forse perché molti musicisti e artisti sono a Milano. Poi ho scoperto che Milano rispecchia molto il mio carattere: è ansiosa, grigia, ma sa regalare anche giornate di sole.
Nel brano “Il mondo da una stanza” canti “la mia coerenza sta nell’essere sempre incoerente, ma non mi pento delle scelte fatte, se sono qui è merito mio” una tua autobiografia dello scorso anno, adesso questa stanza com’è e come si è sviluppata?
Probabilmente quella canzone sarebbe dovuta uscire in questo periodo. È un’autobiografia in cui ho voluto descrivere un po’ quello che facevo, stare in una stanza a scrivere, che da un lato è una cosa positiva, dall’altro invece ti abitui a stare chiuso in te stesso, è una metafora. Ora riesco a vedere il mondo realmente com’è, ma sempre a modo mio e senza più paraocchi. La canto sempre in acustico ed è l’ultima canzone di ogni mio concerto.
Nell’ottobre 2019 in “Non ti lamentare” canti “se in un paese brucia già in partenza le tue aspettative, capisci bene che è difficile sognare anche se dormi” come vedi adesso quella canzone?
Io la ritengo un “sempreverde”. Ho cercato a livello musicale di abbandonaere quelle sonorità perché mi stavano classificando come qualcuno che non ero, ma il mio modo di pensare è rimasto uguale identico per quanto riguarda il tema del brano. Mi piace essere molto attivo dal punto di vista sociale, ho avuto molti problemi dati dal lavoro e in questi anni mi sono sempre più reso conto che c’è un’instabilità nel nostro paese che è veramente grande e le problematiche vanno avanti. Ho voluto proporre il mio modo di pensare con una canzone che descrive appieno anche i problemi che ci sono adesso, per questo la ritengo un “sempreverde”. Durante la precedente quarantena è caduto un altro ponte ad Albiano Magra, vicino a casa mia, non é stata la stessa tragedia di Genova, ma è comunque una tragedia. In Lunigiana è pieno di ponti che stanno per crollare, la situazione è chiara a tutti, spero possa arrivare alle persone e riesca a far aprire un po’ gli occhi.
Quali sono i tuoi prossimi progetti? Un album?
Un album non ancora, la maggior parte degli album che sento sono una compilation di singoli. Secondo me per fare un album devi avere qualcosa da esprimere, un concetto e un filo logico che possa legare tutti i brani al suo interno. La maggior parte dei dischi che sento, soprattutto di emergenti, sono molto belli e molto curati dal punto di vista sonoro, le canzoni mi piacciono tantissimo, ma secondo me sono più compilation di singoli. Siccome non voglio cadere in questo luogo comune, voglio aspettare per capire l’impatto che hanno i miei singoli sulle persone. Da gennaio in avanti pubblicherò una serie di singoli per vedere la reazione del pubblico, dopodiché penserò a un EP, ma l’album è ancora lontano. A dicembre uscirà la piano version di “Future vintage”.
Farai anche un video di questa piano version?
Mi sarebbe piaciuto, avevo già anche la location, in una libreria dove c’era un pianoforte a coda al centro, ma con tutto quello che è successo non siamo riusciti a organizzarci, quindi uscirà senza video ufficiale.
Vuoi aggiungere qualcosa?
Sì, in merito al lavoro che faccio in ambito musicale: tra poco emergerà una nuova realtà con Andrea e Stefano, due miei collaboratori, che si chiama Snowball Music Group, in cui gestiremo la produzione di artisti che ci piacciono e che secondo noi sono forti dal punto di vista musicale, per creare una squadra e fare qualcosa di positivo. Il nome è quello del maiale ne “La fattoria degli animali” di Orwell: nella novella, quando gli animali scoprono che la società è malata, il maiale fa di tutto per combattere il negativismo, per noi è la metafora per dire che vogliamo fare le cose bene nel nostro piccolo per combattere le persone che lucrano e cercano di fregare gli artisti alle prime armi.
Roberta Usardi
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