La metà del doppio: le storie che scegliamo tra quelle infinitamente potenziali
Sono sette i racconti che compongono questa edizione di “La metà del doppio” (Edizioni Spartaco, pp. 133, euro 14) dell’argentino Fernando Bermúdez, racconti che gli sono valsi il Premio Cortázar nel 1994 e il Premio Juan Rulfo nel 1997. Solo sette racconti che si vorrebbe durassero di più, fossero di più per continuare a perdersi in parole e immagini a metà tra l’onirico e il reale, l’allucinazione e la letteratura.
Fernández, Borges, Calvino. Il traduttore Giovanni Barone ci spiega bene le molte influenze dell’autore. E noi le possiamo ritrovare tutte, una ad una, tra le parole di questi racconti che scorrono via leggeri, veloci eppure lasciando addosso sensazioni profonde, di nostalgia, tenerezza, dolore. Sono racconti in apparenza semplici, pochi personaggi, storie brevi: amori che finiscono in modo più o meno sommesso; rapporti marito/moglie e padre/figlia che cambiano di prospettiva col passare del tempo; legami zio/nipote; un fratello che muore; l’adolescenza che finisce in un momento esatto, con un episodio esatto. Elementi comuni, situazioni che ogni lettore, ogni essere umano può trovarsi a vivere. In apparenza.
L’autore ci porta su un piano del tutto nuovo con la lettura, ci fa sentire protagonisti perché potremmo essere noi quelli di ogni storia, potremmo quasi essere noi a decidere la storia, quale particolare ampliare per creare trame sempre nuove. Bermúdez ci tiene per mano, in uno dei racconti lo fa letteralmente, conducendoci attraverso la storia, facendoci capire l’importanza del dettaglio su cui posare lo sguardo. Da questo nascono le storie, dal nostro sguardo, da dove sceglie di cadere. Le storie che ci racconta Bermúdez sono solo alcune tra le tante potenziali storie nella testa dello scrittore e in quella del lettore. Lettore/scrittore sono due ruoli che Bermúdez sembra sovrapporre di continuo, eppure la sua penna è riconoscibile in alcuni temi che si ripetono con costanza: la disabilità, come limite o come accettazione di sé; il movimento inteso non solo come viaggio, ma anche come irrequietezza dei personaggi. È un costante senso di abbandono e nostalgia a legare i racconti, oltre all’ossessione per i dettagli, per la forza dell’invenzione e la solidità della stessa. Elementi questi, portati allo stremo soprattutto in “Blomma” e “Hugo Talmann, morto a New York”.
“Siamo fatti di biforcazione del semplice. (…) Dice che in definitiva le cose sono così o cosà, e che il problema centrale è precisamente quella “o”. Che una volta pronunciata l’umanità non ha più vie di fuga.” Si legge nel racconto “La condizione genuina”.
Per Bermúdez vita e quindi scrittura sono questo, una biforcazione infinita, in cui la seduzione è data dall’incertezza del dettaglio, e una storia perduta è la forma di tristezza più perfetta. Bermúdez affida la sua visione letteraria a quelli che sono ormai i deliri di uno dei personaggi che, tra le tante storie di cui la sua mente è popolata, si ritrova a pensare che “la contingenza è esattamente la metà del doppio”: la metà del doppio sono i dettagli che scegliamo, le storie che scriviamo.
Laura Franchi