La Meraviglia – Lo strano caso della pietra fosforica bononiensis
“Nonostante siamo sull’orlo dell’abisso, continuiamo a cercare”
Una pietra magica, milioni infinite di galassie e lo stupore meravigliato di una bambina. Un viaggio onirico e immaginifico in una cornice d’eccezione, al Fienile Fluò sui colli bolognesi, sullo sfondo dei calanchi di Paderno, proprio ai piedi del luogo dove la pietra di cui si narra – la “pietra Fosforica Bononiensis“, il cui nome scientifico è Baritina) è stata trovata nel 1600. Una pietra incredibile, dotata di fosforescenza, caratteristica che ha incantato i più, studiosi e dotti inclusi. La sua naturale luminescenza è stata motivo di studio e di esperimenti alchemici e, ancora oggi, è circondata da un alone di mistero e magia. È il primo agosto, qui l’afa è più contenuta che in città, si respira un po’. Il posto è incantevole, c’è un lato con una vista stupenda, una colonna sonora di cicale, un cocktail superbo (grazie alle doti sapienti del giovane Michele), uno spazio intimo allestito all’esterno e morbidi cuscini su cui accomodarsi. Il buio, rischiarato da lucine sparse ovunque. È l’atmosfera giusta per un racconto che parla di pietre magiche.
La storia è dedicata all’incanto per la natura inanimata, dai colori cangianti, dalle consistenze dure, dalle venature che trattengono lo scorrere del tempo. Quanto tempo è passato di qui? Quante albe hanno avuto l’onore di scorgere questi occhi incisi sulla pietra. Quante tempeste, quanto vento ha cantato su questi “sassi”. Quanti piccoli e grandi esseri selvatici hanno toccato e impresso il loro passaggio sulla materia mineraria? C’è tutto un mondo là fuori che i più ignorano, fatto di vita inanimata (o forse no?), di ombre solidificate, l’eternità appartiene più a loro che a noi esseri mortali, che nella nostra fugacità aneliamo a superare le barriere del tempo finito. A noi la ciclicità vita-morte-vita, a loro l’immobilità che risplende della magia dell’ “oltre-il–tempo”. Penso sia questo il fascino che ha conquistato la bambina di questo racconto e anche il fratello alchimista, Vincenzo, e ancora il professore Ulisse. I testi di Sonia Antinori ce li racconta l’attrice (e regista dello spettacolo) Angelica Zanardi. Sono parole rapide, sicure, inarrestabili, come la forza naturale di un fiume in piena e di una valanga roboante. Ci travolgono, ci risucchiano e ci trasportano in un vortice interiore che la mente non può seguire ma che il cuore riconosce. È la nostra parte antica e selvaggia a cui si rivolge questo monologo intenso e continuo, e nei momenti di silenzio le parole continuano a riecheggiare, la loro profondità è vertiginosa e pare scalfire le pietre. È un canto, un richiamo, una sonorità danzante che colloquia direttamente con la-que-sabe, la parte più selvaggia e incontaminata di ognuno di noi, come direbbe Clarissa Pinkola Estes.
L’allestimento semplice, essenziale, si riempie delle visioni personali suggerite dalle parole, ma anche delle immagini proiettate sullo sfondo, sia con le riprese video di Thomas Cicognani sia con l’animazione video di Tommaso Ronda. A un tratto ci troviamo catapultati nelle infinite immensità dello spazio, come fece a suo tempo Kubrick in 2001: Odissea nello spazio.
E poi, Angelica Zanardi ci ipnotizza, sguardo intenso, occhi penetranti, sorriso aperto, quasi una promessa di felicità di bambina perché qui si racconta un segreto di cui tutti siamo partecipi. Finché, leggiadra e vestita di un candido mantello bianco, esce di scena. La storia è finita ma ci portiamo dentro qualcosa, la consapevolezza di essere polvere di stelle.
Angelica Pizzolla