La memoria è campo di battaglia, “Mai Morti” al Teatro Astra di Torino
Personalmente faccio parte del comitato promotore per un gruppo di cittadini dell’ordine. Negri, viados, puttane, omosessuali, alcolizzati, drogati, spacciatori, ebrei zingari – quelli sempre -, extracomunitari slavi, magrebini, africani… Verde, nera, bianca, non è il colore della camicia quello che conta, quello che conta è capirsi bene sugli intenti finali.
Un letto, una bottiglia e delle pastiglie, una scrivania, una pistola ricevuta in dono da una SS, un armadio nel quale è custodita l’uniforme della Decima Mas. Lo sguardo celato da un paio di lenti nere, il repubblichino anonimo interpretato da Bebo Storti è una sorta di Giano bifronte: da un verso rumina il passato, secerne una bava terribile di fatti e delitti di cui ammantarsi come in un bozzolo, dall’altro scruta le generazioni, tiene un serrato conto alla rovescia, sente prossima l’opportunità per tornare, con truce fierezza, alla ribalta. Quello che inizia come il monologo di un uomo incapace di prendere sonno, diventa man mano istruttoria di un processo: il fascista mai pentito consulta documenti, legge estratti da un libro sulla Resistenza traendone altrettanti capi di accusa per chi ha tradito il regime, elenca le pratiche di tortura nel Ventennio. Sembra abbandonarsi, a tratti in modo un po’ didascalico, alla nostalgia: in realtà sta infilando e annodando i lacci nei fori del Paese, come si fa con uno stivale.
“C’eravamo quasi, eravamo davvero vicini…Poi quello se ne va al Papeete, fa lo scemo, e manda tutto in fumo. Ma è solo una questione di tempo.” La drammaturgia di Renato Sarti (che firma anche la regia) trova costanti appigli nell’attualità, condensando in sessanta minuti la metamorfosi del Mai Morto dalla penombra alla luce, dalla vestaglia all’uniforme, con i faretti che come spilli entomologici lo infilzano, ebbro di “Sieg Heil”, nel saluto a braccio teso.
Nella serata di martedì 15 ottobre, al termine della rappresentazione, la sala del Teatro Astra ha ospitato un breve ma incisivo incontro con Giovanni De Luna, storico e docente all’Università di Torino, lo stesso che, per così dire, tenne a battesimo questo spettacolo quasi vent’anni fa. Rivolgendosi ad una platea composta in parte da studenti, il professore ha sottolineato due aspetti di particolare rilievo: la necessità di un tipo di narrazione che renda fruibile e metabolizzabile anche da chi non lo ha vissuto sulla propria pelle la mole di orrore che ha attraversato il Novecento (italiano e non), un orrore di fronte al quale è forte la tentazione di distogliere lo sguardo, con tutti i rischi che questo oblio comporta; in secondo luogo, il riferimento che viene fatto alla strage di Piazza Fontana – di cui il prossimo 12 dicembre ricorre il cinquantesimo anniversario – non è da mettere in relazione “ad un fascismo incistato nel DNA del nostro paese. Il discorso su Piazza Fontana allude a un’altra insidia e cioè al permanere di una opacità delle istituzioni. Il segreto di Stato ci deve essere, ma per salvaguardare la democrazia è indispensabile stabilire e saper riconoscere i confini di tale segreto tra un ambito fisiologico e uno patologico”. Sull’urgenza di coltivare la memoria è intervenuto anche Sarti, portando ad esempio un recente sondaggio da cui emerge con grave evidenza che una alta percentuale di giovani associa quella strage alle Brigate Rosse, che all’epoca non esistevano ancora. Ricollegandomi alla recensione di Mariangela Berardi (qui il LINK), nonostante le dimensioni del palcoscenico del Teatro Astra facciano un po’ disperdere l’impatto espressivo ed emotivo rispetto al Teatro della Cooperativa o nella Sala Bausch del Teatro dell’Elfo, un fatto resta innegabile:“Che un attore e un regista continuino a rappresentare Mai Morti, è un atto di Resistenza. Che un teatro lo inserisca nella sua programmazione, è Resistenza. Che uno spettatore entri in quella sala, portando di volta in volta qualcuno con sé, è Resistenza.”
“Mai Morti” è andato in scena nell’ambito della stagione TPE 19.20 al Teatro Astra dal 15 al 17 ottobre 2019. Da venerdì 18 a domenica 20, invece, con un tempismo che ricorda “And now for something completely different” dei Monty Python, il duo Storti-Sarti propone “Io santo, tu beato”, in cui fanno ricorso, con tanto di maschere, alla Commedia dell’Arte.
Pier Paolo Chini