LA LEGGEREZZA DI PIOMBO DI UN BEL PALLONE ROSSO AL PICCOLO STUDIO MELATO
È un testo che arriva al cuore “Avevo un bel pallone rosso” di Angela Demattè, che ripercorre il conflitto inevitabile, insanabile, tra un padre e una figlia. Ciò che va in scena, in un’atmosfera di piombo magistralmente creata dalla regia di Carmelo Rifici, è la storia di Margherita Cagol, fondatrice e militante nelle Brigate Rosse con il nome di battaglia Mara, e di suo padre.
I luoghi in cui l’azione si svolge sono una città di montagna, Trento, e la metropoli cupa in cui l’ideologia diventa lotta armata, Milano. Però, su un piano diverso e universale che va al di là di qualsiasi contestualizzazione, ciò che davvero “ci parla” è il conflitto inevitabile tra questi due personaggi. Perché, se pure non tutti siamo genitori, tutti siamo stati figli e in qualche modo, come nel sogno rivelatore di Mara, a un certo punto della nostra vita abbiamo dovuto tracciare una linea di separazione, andare oltre l’affetto profondo fino a “uccidere il padre” per seguire le nostre idee, giuste o sbagliate. A proposito di giustizia, lo spettacolo non mira a dimostrare come da una parte ci sia la ragione e dall’altra il torto. Ci si trova spesso a essere d’accordo, o in disaccordo, con l’uno e con l’altro. Affetto profondo e incompatibilità, Mara e Margherita, ricerca di giustizia sociale e desiderio di normalità, dialetto trentino e linguaggio burocratico-ideologico, convivono in perenne quanto insanabile conflitto tra loro.
Mara, interpretata da una strepitosa Francesca Porrini, è anche Margherita. Lo è in maniera credibile. Tanto che il padre dell’attrice, presente in sala tra il pubblico per la prima volta, si prende parte del merito della sua interpretazione di figlia in conflitto (come ci rivela l’attrice dopo lo spettacolo): “ha fatto tanto allenamento con me…” Il padre di Mara in scena, Andrea Castelli, è l’altrettanto credibile interprete di un sentimento paterno di ricerca di una conciliazione ormai impossibile, proprio come recuperare un palloncino volato dalle mani di un bambino: “Avevo un bel pallone rosso e blu, ch’era la gioia e la delizia mia. S’è rotto il filo e m’è scappato via, in alto, in alto, su sempre più su. Son fortunati in cielo i bambini buoni, volan tutti lassù quei bei palloni”, recita la filastrocca di una Margherita ancora bambina. Il momento speciale dello spettacolo è il commovente racconto di Margherita a suo padre dove, in conflitto con sé stessa, si trova improvvisamente in un sogno, ma terribilmente di fronte alla realtà.
A.B.