LA LECTIO MAGISTRALIS DI ANDREA RICCARDI APRE IL FESTIVAL DELLA MENTE DI SARZANA
Sarzana, Quindicesima Edizione del Festival della Mente, dal 31 agosto al 2 settembre, è un cartellone pieno di numeri: 500 fra volontari e studenti in alternanza scuola-lavoro, 60 intellettuali fra umanisti, scrittori, scienziati e artisti, centinaia di persone in arrivo per ascoltare e partecipare che, tra fervore e rigoroso silenzio, si dipanano ordinatamente per le vie predisposte agli eventi. Il tema della “Comunità” è il filo conduttore, in tutti i sensi, declinato in eventi multidisciplinari, cui occorre attenzione e riflessione nell’intento di cogliere il nostro spirito attuale.
Sarzana è generosa, solare, snodo di tre regioni italiane, divisa in stradine parallele che portano da Piazza degli Impavidi, scendendo dalla Stazione ferroviaria, fino a Piazza Matteotti da cui si eleva l’antico Palazzo Comunale. Percorrendo gli scaloni rinascimentali mi imbatto in reperti danteschi e in uno stuolo di studenti dietro i tavoli dell’organizzazione. All’uscita, di fronte, c’è l’enorme tensostruttura e, inaugurante la manifestazione, il professor Andrea Riccardi, storico fondatore della Comunità di Sant’ Egidio, studioso di Storia Moderna e Contemporanea, che avanza lateralmente fra la gente con passo lieve e sorridendo. Il padiglione si è riempito di almeno 2000 persone e, dopo la breve presentazione degli addetti ai lavori, comincia la attesa Lectio Magistralis dal titolo “Comunità o l’eclissi del noi”. Attenzione alta, pochi gli applausi e misurati, per non interrompere il filo del discorso che incolla l’attenzione dei presenti al tono colloquiale del docente, a tratti, quasi interlocutorio col pubblico. Dove eravamo rimasti? Ah! Al ’68, divenuto ormai una categoria di pensiero, un breve racconto di come eravamo, nel tempo della dissoluzione delle categorie di pensiero su famiglia, scuola, politica, un tempo politicamente collettivo e fortemente individualista insieme. Poi un balzo in avanti nella Storia italiana odierna, nell’era della globalizzazione, nei fatti europei: le grandi migrazioni dai paesi del Sud, la banlieue parigina, le periferie cittadine come luoghi e “non luoghi” di difficoltà di vita, la disgregazione sociale e una veloce interpretazione della natura potenzialmente anti umana di questa dolorosa frantumazione delle identità pluri-razziali. Un’Europa, insomma, in piena crisi.
I toni non sono apocalittici, la rete virtuale che “non fa” rete sociale, il Web, la doppia dimensione di libertà individuale e di forte tensione comunitaria che si intrecciano nella convivenza virtuale-analogica sono altri temi affrontati, che ci mostrano la complessità che l’analisi storica, oggi, richiede. I temi della sicurezza, la paura diffusa di una Storia “troppo grande” per il cittadino globale irretito, l’irrazionale luogo comune delle categorie razziali ad ottant’anni dalle Leggi razziali contro gli Ebrei, sono altri argomenti caldi che Riccardi porta alla nostra attenzione. “L’integrazione è la nuova sfida dei nostri quartieri e in Italia, nonostante l’alto numero di migranti, un alto numero di stranieri è impegnato nel lavoro domestico che noi in Italia, nelle nostre famiglie, sembriamo aver dimenticato”, l’altra faccia della medaglia, il “noi” che in questo tessuto umano, nelle nostre case, non sappiamo più rammendare. Esistono soluzioni complesse, continua, il ricominciare, ad esempio, a riconquistare la dimensione politico etica a partire dalle nostre azioni quotidiane. E anche, la Comunità intesa come intersoggettività (con la parabola del buon Samaritano che mette in discussione la sua prossimità: Egli aiuta o è aiutato?). Bisogna, continua, fare una revisione attiva delle sorti della coabitazione degli spazi pubblici dove ci incontriamo nel presente. La prossimità distante può essere risolta interrompendo costruttivamente la solitudine dell’uomo globalizzato.
Applausi fortissimi, segnali sonori di speranza: siamo qui, oggi, intorno a questo tema, cercando insieme un altro mondo possibile. “Siate realisti, chiedete l’impossibile!” conclude. Applausi.
Lucrezia Zito