“La Gloria” di Fabrizio Sinisi: dentro ogni wanna-be-artist c’è un piccolo dittatore
In “La Gloria” di Fabrizio Sinisi, andato in scena il 16 e il 17 settembre nell’ambito del festival Hystrio al Teatro Elfo Puccini di Milano, vediamo il dittatore più famoso del mondo da un’angolazione particolare, durante la giovinezza passata inseguendo il sogno dell’arte, della pittura in particolare.
Dentro ogni wanna-be-artist c’è un piccolo dittatore: wanna-be perché di riconoscimenti, il nostro giovane Adolf non ne riceve, perché mente a tutti pur di sentirsi accreditare la “gloria” che sente di meritare. Non riesce a dormire, deve brillare a tutti i costi. È proprio da questa disperazione dell’artista che sentiamo uscire il seme di ciò che Adolf diventerà. E fa venire i brividi pensare che, effettivamente, il dittatore e l’artista riconosciuto potrebbero avere una strada comune fino a un certo punto. La crasi fra queste due figure, apparentemente inconciliabili, viene suggerita nello spettacolo in più punti e a vari livelli, a partire dall’inizio, in cui si assiste alla recita di un’opera lirica, e questo parallelo col palcoscenico verrà mantenuto per tutto lo spettacolo: delle scritte mandate col proiettore riporteranno elementi di tempo atmosferico e altro come parte di una messinscena teatrale. Anche la luce, unico elemento usato per definire gli spazi, viene usata a sostenere questo parallelo fin da subito: le piogge dorate sul fondo creano un ambiente sospeso che porta alla mente non solo l’opera lirica sopra citata, ma anche altre immagini, come la consegna degli Oscar, o l’Olimpo dei poeti greci.
La scena è spoglia, nuda. Gli attori accolgono gli spettatori sul palco, ma hanno lo sguardo rivolto a sé stessi, ognuno dentro il proprio mondo. Non ci sono costumi, non c’è scenografia, se non quella visiva donata dai proiettori, con dei montaggi video di qualità, che catapultano nei luoghi menzionati dal testo. Gli attori sono in abiti moderni: per la definizione dei personaggi rimane solo ed esclusivamente la relazione fra loro, scelta estrema di cui si apprezza l’onestà. La recitazione è di livello, la relazione approfondita, e i personaggi chiari. In particolare, il giovane Hitler di Alessandro Bay-Rossi è rimasto impresso per il suo essere a fuoco nella sua impazienza e nel suo tormento interiore. È rimasto impresso anche per quanto sia riuscito a radicare il personaggio nel corpo, con una gestualità esuberante e un’energia nervosa, con i muscoli sempre a fior di pelle. Molto forte il momento del suo discorso notturno, in cui arriva a “drizzare” il braccio, dando la sensazione che forse ci sarebbe potuto arrivare in maniera più organica, meno netta. In altri momenti forse sarebbe stato bello entrare di più nell’immaginazione di Adolf, nella sua gloria, ma probabilmente ciò avrebbe significato rompere il patto di naturalismo delle scene e di nudità del palcoscenico.
Nel complesso uno spettacolo riuscito, e a tratti disturbante.
E. R.