“La gioia avvenire”, costruirsi attorno a una ferita
“La gioia avvenire” (Mondadori, pp. 111 pagine, euro 16), finalista alla XXXIV edizione del Premio Calvino, è il romanzo di esordio di Stella Poli.
“Provava desiderio? Sì.
Rispondeva a quei messaggi? Sì
Perché? Per le dinamiche, la seduzione, ero curiosa, non lo so.
La seduzione. Dove finisce la seduzione, dove incomincia lo stupro? Era abbastanza grande per la seduzione e non per il sesso?
Non ero abbastanza grande per niente.
Aveva un’idea del sesso, aveva un’idea della seduzione, era una ragazza intelligente. Non ha urlato. Nessuno l’ha picchiata. Non ha detto no. I suoi si erano appena separati. Vedeva poco suo padre. Forse cercava attenzioni?
Giocava a pallavolo. È corretto dire che era piuttosto muscolosa?
Sì.
Se avesse lottato, avrebbe potuto forse arrecare offesa?
Non lo so, può essere.
Non ha lottato, però, è corretto?”
Sara, una psicoterapeuta trentenne, si reca da un giovane avvocato per esporre il caso di una sua paziente, Nadia, abusata da un quarantenne sposato, amico del padre, all’età di quattordici anni. Un corteggiamento lento, fatto di messaggi, di parole giuste, di attenzioni, e Nadia non percepisce il pericolo. Sara, anche se a distanza di tempo, anni, vuole cercare giustizia per Nadia. Tuttavia, proprio il colloquio con l’avvocato lascia emergere un’altra verità che ci spiazza, e porta a un nuovo livello di lettura.
La Poli affronta uno dei temi cruciali del nostro tempo. Se sullo sfondo c’è l’intento della psicoterapeuta di esplorare con l’avvocato le possibilità di ottenere giustizia, il cuore del romanzo è il testo scritto da Nadia, in cui racconta e analizza fatti ed emozioni connessi con la relazione violenta e tossica con quell’amico di famiglia conosciuto in chiesa. Raccontarsi, scrivere per non essere solo quell’episodio lì, quel trauma lì.
“Bastava non fidarsi, bastava pensare prima, bastava lasciare la paura spezzare l’argine, bastava avere freddo, bastava non mentire, bastava non rispondere, bastava andarsene, bastava non salire, bastava scappare prima, capire prima, capire meglio, avere una paura più precisa. Non mi ricapiterà di averla.”
La Poli si spinge in una riflessione coraggiosa sul consenso, sulla fallibilità della giustizia umana e sulla persistenza delle ferite. La difficoltà di costruirsi attorno a una ferita e, forse, un giorno avere consapevolezza, saper andare oltre.
L’importanza di riconoscersi come vittima, ammettere che è l’altro che ha sbagliato, non doveva. Perché noi non eravamo abbastanza mature, pronte materialmente o psicologicamente per dire quel “basta”.
“Una delle poche cose che ho capito. Che l’unica cosa che dobbiamo tenerci saldissima è questa: concederci, soprattutto concederci, non che ci concedano, di scegliere. Rinegoziare, sottrarsi. Cambiare idea. Smettere. Se tutto è rapporti di potere, il potere di me che scelgo è dilagante.”
Laura Franchi