La figura femminile tra arte e danza e intervista al coreografo Sebastiano Sicilia
La saggista Rosalind Miles si chiedeva “Il numero di donne che ce l’avevano fatta ad entrare nei libri di storia era davvero esiguo. E tutte le altre, dov’erano?”. Raffigurate sui dipinti, si potrebbe rispondere. E il grande merito de Le bordel d’Avignon, balletto contemporaneo in atto unico dell’Experience Theatre Ballet Company – in scena al Teatro Metropolitan di Catania dal 9 al 10 febbraio – è aver dato loro voce attraverso la graziosa e struggente interpretazione dell’opera Les Madamoiselles d’Avignon dipinta da Pablo Picasso nel 1907.
Lo sguardo, durante la rappresentazione, sembra non trovare mai quiete. Della cieca obbedienza e muta sottomissione alle quali sono asservite ci si dimentica subito: è il racconto della sfera umana a prevalere sulla condizione delle prostitute, che sentiamo subito amiche, madri, sorelle. Le danzatrici ci prendono per mano e senza veli ci fanno compartecipi delle loro angosce: il ricordo della violenza subita da François, Eva e la riflessione sulla malattia, l’ingenuità della giovinezza rappresentata da Jacqueline, nuova fanciulla accolta dall’inconsolabile Marie Therese, il cui ricordo della morte prematura della figlia assurge fin dall’inizio come leitmotiv del dolore straziante che permea la loro realtà. Infine, l’amata Fernanda – una tenacissima Felicia Bisicchia – per la quale Picasso -interpretato da Cristian Cosentino – decide di abbattere i cliché perbenisti e ricostruire tassello dopo tassello una nuova consapevolezza più solidale, sublimata nel desiderio di rendere immortali le loro esistenze nell’arte.
La regia e la direzione artistica sono state curate dal giovane talentuoso coreografo Sebastiano Sicilia, il cui percorso di vita si intreccia inesorabilmente con lo spettacolo.
Voler entrare in contatto con l’arte per raccontare una nuova realtà attraverso la danza è un nobile scopo, specialmente se si vuol dar voce alle istanze del nostro tempo. Perché hai scelto di reinterpretare l’opera Les Demoiselles D’Avignon? E in cosa possiamo ritrovare l’impronta di Sebastiano in questa rappresentazione?
Perché lo reputo un manifesto innalzato contro lo stereotipo, fin troppo promosso dai mass-media, della figura della donna. Diverso non è sbagliato, ecco il messaggio avanguardista di cui Picasso si fa portavoce ritraendo la realtà in maniera distorta.
I quadri coreografici che lo compongono scaturiscono da un mio profondo dolore e disagio. Nella mia esperienza di vita ho dovuto sopportare il peso di una grave patologia che colpisce 1 bambino su 1000 nati, essa provoca malformazione ai piedi (piede torto-equino). È risaputo che la danza esige linee armoniche, questo è stato per me un grande ostacolo da superare.
Nonostante gli ostacoli, la perseveranza non è venuta meno. Quali sono le esperienze che ti hanno indirizzato verso questa disciplina artistica?
Più delle esperienze fa fede in me l’amore incondizionato verso la danza, ritrovo in questa disciplina artistica il mio mondo e non riesco ad immaginare la mia vita senza di essa. Quindi non è stata un’esperienza in particolare ad indirizzarmi verso questa disciplina, ho semplicemente ascoltato la mia indole.
Disciplina, umiltà e rispetto. Quali fra gli insegnamenti della danza vorrebbe si riflettessero maggiormente nella società odierna?
Prima di essere coreografo, svolgo l’attività di insegnante di danza classica e constato numerose volte il venir meno dei valori fondamentali di questa disciplina nei giovani danzatori che si approcciano per la prima volta. Tali principi potrebbero essere il punto di partenza per formare una società che basi le proprie fondamenta su puntualità, rispetto dei ruoli e sulla determinazione.
Pensi sia indispensabile per un coreografo essere stato anche un danzatore?
Prendendo spunto e ammirando le opere dei più grandi coreografi contemporanei, si evince che prima di essere stati tali hanno alle spalle una brillante carriera tersicorea. Quindi, sì, in molti casi un grande coreografo è stato un grande danzatore.
Come ti sei avvicinato, in seguito, alla professione di coreografo? E qual è stato il tuo primo lavoro coreografico?
L’occasione che ha determinato una crescita professionale è stata la collaborazione con l’ente Teatro Massimo Bellini di Catania per la messa in scena di Sakuntala, opera lirica con divertissement di Franco Alfano, in cui ho avuto l’incarico di assistente alla regia e coreografia al fianco del M. Massimo Gasparon. Mettermi in gioco è stata da sempre una mia prerogativa e spesso le ispirazioni artistiche nascono da semplici avvenimenti. Riallacciandomi a questo discorso nel settembre dello scorso anno ho composto un quadro coreografico ispirato a una delle opere d’arte che ho studiato durante il mio percorso formativo all’istituto d’arte “Les Demoiselles D’Avignon” di Pablo Picasso, in seguito premiata come miglior composizione coreografica dall’ente SIAE.
La nascita dell’Experience Theatre Ballet in che modo ha influito e variato il tuo stile, e soprattutto, quale alchimia si è instaurata con i danzatori della compagnia?
La ETC company basa i propri principi sulla coesione e sul rapporto umano che caratterizza tutti gli artisti. In toto, tutti i danzatori che ne fanno parte diventano per me strumento per realizzare le mie idee coreografiche.
Gli equilibri su cui comporre uno spettacolo sono molteplici. Quali hanno inciso maggiormente nella realizzazione del balletto contemporaneo Le Bordel d’Avignon?
Mettere insieme la vera arte tersicorea e l’espressione teatrale, equilibri che occupano la stessa importanza in tutta l’opera.
Madrina della serata, Carla Fracci, mostrandosi favorevolmente colpita dall’impegno e dall’umiltà dell’intera compagnia, ha augurato loro di trovar fortuna in altri paesi in cui l’esuberanza e la sperimentazione abbiano opportuna e dovuta accoglienza.
Chiara Principato