La famiglia, un progetto imposto?
“La famiglia” (La Nuova Frontiera, 2024, Collana Liberamente, pp. 224, Euro 17,50) è il nuovo romanzo di Sara Mesa, pluripremiata autrice madrilena.
“Parlava di continuo del Progetto. La famiglia era quello, il Progetto. Per il bene del Progetto lei doveva superare quel periodaccio. Perché, non appena si fosse ripresa, avrebbero dovuto fare un altro figlio. E un altro e un altro. Lui era contrario alle famiglie con figli unici. I figli unici sono capricciosi, arroganti e più facilmente propensi ad ammalarsi, in particolar modo ai polmoni e alle vie respiratorie.”
Padre, Damian, Madre, Laura e quattro figli: Damian Junior, Aqulino, Rosa, figli naturali, e Martina, adottata, in realtà nipote. Un nucleo famigliare all’apparenza normale, come tanti. Una casa, Padre presunto avvocato, Madre casalinga, figli che studiano e poi lavorano. Eppure. Capitolo dopo capitolo, in un racconto che va avanti e indietro nel tempo, Sara Mesa ci restituisce un quadro soffocante. Padre, così ci si riferisce per lo più a lui, è ossessionato dall’idea di famiglia come progetto, come luogo ideale e idealizzato nel quale non esistono segreti. Una casa fatta di regole che sono negazioni asfissianti: non dire questo, non fare quello, non avere la televisione, non mostrarsi deboli, non mettere il lucchetto al proprio diario segreto, non avere spazi privati ma condividere tutti insieme il soggiorno. E quale livello di allegria si può mostrare? Regole che sono imposizioni. Regole che, come in ogni dittatura, spingono al sotterfugio, alla fuga. La finzione come unica forma di sopravvivenza, di libertà.
Sara Mesa ci riporta indietro nel tempo, e forse nemmeno troppo, alla famiglia di stampo tradizionale nella peggiore delle accezioni possibili: il patriarca come punto di riferimento, come oro colato quello che dice, come quello che porta i soldi a casa, che non si deve giustificare, che impone il silenzio con lo sguardo. Madre, anche a lei ci si riferisce per lo più così, succube e sempre più stanca e logorata, solo alla fine dei suoi giorni riuscirà a liberarsi di tutto quel fardello che il matrimonio è stato, seppur cominciato con amore, con stima.
Mesa rivolge al lettore un invito che è sempre amaramente attuale: non fermarsi alla superficie delle cose, non lasciarsi ingannare da ciò che luccica perché grattando la copertura dorata potrebbe rivelarsi il verde ammuffito di un metallo decisamente meno nobile. Oltre la facciata, c’è un mondo, a volte poca luce e tanto buio. I concetti di potere e controllo messi davanti agli occhi del lettore grazie a uno schema riconoscibile e facilmente traslabile al proprio vissuto, la famiglia. Quel potere e controllo che sono però dei veri deboli che lo esercitano finché hanno un pubblico, ma non ci credono davvero, sono una contraddizione vivente, e di nascosto piangono e si puliscono il muco con la manica della camicia, cosa altrimenti proibita.
“Che strano, pensa, stare insieme a tutti questi sconosciuti e a questo cagnolino che scorrazza felice intorno alle sue gambe. Una piccola decisione – quella di prenderlo – ne ha portata un’altra e poi un’altra e un’altra ancora, fino a condurla al punto in cui si trova. Non ci sono grandi decisioni, si dice, solo una sfilza di piccole, minuscole decisioni, prese quasi per caso, benché in realtà no. In realtà, prese con esitazione ma pure con audacia, una a una, passo dopo passo, liberamente. Prese a fine di bene.”
Ecco, in poche righe, il vero senso di famiglia e di progetto, aiutarsi reciprocamente a stare dentro al mondo, un pezzo alla volta.
Laura Franchi