“La donna gelata” raccontata da Annie Ernaux
Annie Ernaux parla di sé. E parlando di sé parla di tutte le donne del mondo. Quelle che ci sono state, quelle che ci sono e quelle che ci saranno. Sono storie senza tempo, perché il tempo tutte queste storie non le ha mai definitivamente cambiate, lasciandole sempre ancorate ai dettami della società borghese che miravano e mirano a educarle anche da un punto di vista sessuale, tanto negli anni ’40 o ’70, quanto oggi. “La donna gelata” (L’Orma Editore, pp. 192, euro 17, traduzione di Lorenzo Flabbi), pubblicato per la prima volta nel 1981, parte dal principio, dalle figure delle grandi donne della famiglia dell’autrice, donne vissute in una piccola provincia francese, diverse da ciò di cui sentiva parlare a scuola, donne poco sdolcinate che si giravano solo se le chiamavi mà e non mammina.
“Le donne della mia vita parlavano tutte a voce alta, avevano corpi trascurati, troppo grassi o troppo scialbi, dita ruvide, volti senza un filo di belletto o altrimenti truccati in modo esagerato, vistoso, con grandi chiazze rosse sulle guance e sulle labbra”.
Il cruccio di sua madre, ad esempio, non era tenere la casa ordinata e pulita, ma che la figlia avesse quell’istruzione che le avrebbe permesso di avere un posto nel mondo, “voleva una figlia che, a differenza sua, non finisse a lavorare in fabbrica, che potesse mandare tutti a fanculo, che fosse libera, e per lei l’istruzione era quel fanculo e quella libertà”. Mentre era suo padre a cucinare e lavare, “non ne so nulla di capifamiglia distaccati e solenni, la cui parola è legge, irascibili tiranni domestici, eroi di guerra o del lavoro…”. Una divisione dei ruoli fuori dalle norme, soprattutto dell’epoca, e da ciò che la società voleva inculcare e a cui anche lei andrà presto incontro, nonostante le sue idee di emancipazione.
È così che l’autrice trascorre il passaggio da bambina a ragazza e poi a donna, sentendosi diversa dalle sue coetanee: le prime scoperte sessuali, i primi scontri con ciò che si può e ciò che non si può fare. E poi ancora il passaggio a moglie, con la perdita di alcune cose, a partire dal cognome. Fino a diventare madre, con tutte le attività che ne conseguono, con tutta la vita che cambia, che tutto è fuorché la vita sperata. Questa è la figura di una donna gelata, quella donna predefinita, da sempre già scritta. La scrittura di Annie Ernaux scorre da una parte calda e poetica e dall’altra schietta, cruda e sincera sotto i nostri occhi e sotto lo sguardo critico dell’autrice stessa che non ci risparmia e non si risparmia nulla, anzi ci ricorda in continuazione lo stato delle cose in cui ci troviamo e a cui bisogna soccombere con o senza consapevolezza, aspettando che il tempo passi lasciando tutto immutato.
Marianna Zito