La delicata solitudine dell’OMU CANI di Davide Dolores
“Questa è la storia di un omu. E putissi essiri puru una storia semplice, attipo due e due quattro…”
Davide Dolores arriva sullo spazio scenico del T di Marco Maltauro vicinissimo agli spettatori, dove ci sono una sedia, un bastone e una giacca, dei libri e un cappotto color senape. Lo vediamo interpretare simultaneamente più ruoli con la voce, con i gesti. Mentre sono soprattutto i suoi occhi quasi trasparenti a parlare, dandoci la possibilità di entrarvi dentro e di vedere oltre. Oltre ogni espressività, parola o movimento che fuoriescono del corpo di Dolores pieno di forza emotiva. Una voce dagli occhi.
L’Omu Cani è un uomo colto e rispettato dai mazaresi, che “ha scelto” e raccoglie cibo e doni solo da terra o dalle mani dei bambini. Ha una prospettiva dal basso verso l’alto, con gli occhi all’altezza di un cane, forse per sottoporsi a una perenne automortificazione. Lo chiamano Tommaso, Tommaso Lipari. Dopo la sua morte e col passare degli anni circostanze casuali hanno sovrapposto la vita del senza tetto a quella del fisico scomparso Ettore Majorana, arricchendo ancor di più la vicenda di mistero.
Un’interpretazione in solitudine come la vita dell’Omu Cani. Un’interpretazioni a più voci, di nuovo come la vita dell’Omu Cani. È solo un uomo – un clochard tra la gente, un monumento o una leggenda della piccola cittadina di Mazara del Vallo degli anni ’40 – il protagonista della storia scritta e raccontata con grande trasporto nel monologo di Davide Dolores che ci descrive la dignità e l’integrazione dello straniero che arriva in terre sconosciute, dal mare. La terra dal mare ha una prospettiva diversa. Anche per chi arriva dal mare, la terra ha una bellezza incomparabile e diversa.
Al T di Marco Maltauro fino a domenica 26 novembre.
Marianna Zito