“La cercatrice di funghi”. Come un fungo, crescere e (ri)nascere dopo la pioggia
Viktorie Hanišová, considerata l’astro nascente della letteratura ceca, ha di recente pubblicato il suo secondo romanzo, “La cercatrice di funghi” (Voland, pp. 308, euro 18).
“Tu andavi a funghi ancora prima di nascere”, le disse una volta suo padre, mostrando a Sisi una fotografia che lo ritraeva accanto a sua madre, incinta di lei, e ai suoi due fratelli maschi. A vederli lì, sembrano una famiglia felice. E se io non fossi nata, forse avrebbero potuto anche restarlo”.
Sára (Sisi) ha 25 anni e vive nel vecchio casolare di famiglia nella Selva Boema. Tutte le mattine si alza, indossa un paio di vecchi scarponi appartenuti al padre, afferra il cestino e imbocca il sentiero che proprio suo padre le ha insegnato da bambina, in cerca di funghi da rivendere all’Ovolaccio, la taverna locale. I funghi sono il suo sostentamento, la sua condanna e la sua ossessione: certamente l’unico campo in cui lei, ex studentessa modello, oggi eccelle. Ogni notte Sára la passa insonne. La sua vita trascorre a un ritmo immutabile, e la routine è interrotta solo dai controlli trimestrali con la psichiatra. Ma la morte della madre, l’assillo dei fratelli per l’eredità, un cambio di gestione alla taverna e l’amicizia con Vojta la costringono ad affrontare i ricordi di un’infanzia che ha represso per troppo tempo.
Un romanzo avvolgente che ti fa venire voglia di stare sotto le coperte a leggere senza sosta, al riparo dall’umidità del bosco, dal freddo della Selva Boema, dalla crudezza dei ricordi di Sisi.
Tradita poco prima dei dieci anni da entrambi i genitori, prima dal padre così amato e poi dalla madre, così muta e volutamente cieca, “abituata da sempre a guardare il mondo socchiudendo le palpebre (…) Smussava tutte le punte e gli spigoli, voleva solo pieghe morbide e arrotondate”. Il tradimento peggiore, credo, che un figlio possa subire e le cui ripercussioni Sisi si porterà dietro per tanti, tanti anni, distruggendo la sua vita in formazione, di bambina, adolescente e giovane donna. E nemmeno di fronte alla sua sofferenza, al bisogno sempre più impellente di far lasciare la cella ai ricordi sottochiave, i genitori sanno ammettere le proprie colpe, piuttosto ne muoiono.
“Anche per questo nelle mie escursioni punto con sacra riverenza lo sguardo al suolo. Non ci tengo a guardare in faccia i casuali passanti. Ma, soprattutto, non voglio che qualcuno veda me. Preferisco essere un’ombra che si trascina nel bosco. (…) La mia faccia è insignificante, i capelli né corti né lunghi, di un colore insulso. Mi mimetizzo come i funghi più gustosi. Sono difficile da ricordare”.
Una scrittura che va dritta per la sua strada, senza alcun sentimentalismo e senza la scontatezza in cui il tema affrontato potrebbe far incappare.
E non c’è un lieto fine, ma la speranza che possa esserci. Che Sisi prenda in mano la sua vita senza timore, che lasci perdere i funghi che in fondo nemmeno le sono mai piaciuti troppo, che dopo il tremendo temporale che la fa finire in ospedale e che riempirà il bosco di funghi, possa finalmente dire i “si” che vuole e i “no” che deve.
Laura Franchi