“LA CASA DEI NAUFRAGHI” – LA DOLOROSA CONSAPEVOLEZZA DELLA FOLLIA
È un dolore che prende e non abbandona, un dolore che accompagna pagina dopo pagina, come una discesa agli inferi senza speranza e senza alcun ritorno, un pugno allo stomaco violento che imprime le parole e gli stati d’animo narrati e che non lascia alcun margine alla dolcezza e ai sogni.
“Sono scappato dall’isola e da tutto ciò che le appartiene. Non sono un esiliato politico. Sono un esiliato totale.”
Un racconto lucido, nichilista, essenziale e crudo, “La Casa dei Naufraghi” di Guillermo Rosales (Fandango Libri, pp. 119, euro 14) è un libro che vale proprio la pena leggere. Scritto con uno stile che evita qualsiasi enfasi, essenziale e crudo. Lo scrittore cubano dall’esistenza tormentata, ci racconta squarci della sua vita che sono poi le tante vite incontrate nella “Boarding Home”, vite devastate dalla follia, dalla crudeltà degli uomini e dalla società che si rivelano incapaci di aiutare, comprendere o anche solo sopportare persone disturbate e solo per questo umiliate, emarginate e derise. La bellezza e l’unicità di questo libro sta proprio nel fatto che è stato scritto da uno” scrittore egli stesso effetto da schizofrenia, egli stesso è un disturbato ma, tuttavia, capace di descrivere con una follia lucida e puntuale quello che accadeva e che, ahimè, ancora accade nelle cosiddette case di cura.
C’è Hilda, la vecchia pazza con la cistite, che se la fa continuamente addosso ma che con regolarità viene violentata da Arsenio, il “guardiano dei matti”, ovvero da chi è considerato normale e dovrebbe controllare e curare la malattia. C’è un mondo di anormali rifiutati dalla società ma dalla società, allo stesso tempo, sfruttati e umiliati; come fa Curbelo, il proprietario-direttore della “Boarding Home”, che pur ricevendo le dovute sovvenzioni e fondi dallo Stato, si limita a comprare un solo pacchetto di Pall Mall a settimana e a distribuirlo agli ospiti infelici, incapaci di pretendere i loro diritti, ma felici di quell’elemosina di misericordia.
È un libro meraviglioso e crudele, doloroso e magico nella sua semplicità stilistica, nel suo scorrere veloce e amaro verso abissi sempre più scuri, dove non giunge nemmeno una eco, sia pur lontana, del Dio dei Vangeli. Non c’è misericordia, non c’è speranza e non c’è perdono, solo l’amarezza di un dolore che dura anche dopo aver letto l’ultima pagina.
Francesco De Masi