“La Borsa”, Marietti 1820 ripubblica il saggio di Max Weber
Il saggio di Max Weber sulla borsa conobbe una prima traduzione italiana (ormai esaurita), per i tipi di Unicopli, nel 1985. Esce ora una nuova traduzione in cui “La Borsa” (Marietti 1820, Bologna 2020, pp. 153, euro 15) è corredata da una postfazione di Franco Ferrarotti, che mette nuovamente a disposizione del lettore un testo per molti aspetti ancora attuale. Scritto nel 1894, quindi prima dell’Etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904-5), il saggio di Weber esamina analiticamente una delle espressioni più caratteristiche del nuovo capitalismo finanziario. Nella forma originaria del modo di produzione capitalistico il proprietario del capitale era anche il gestore di questa stessa proprietà. Successivamente, in seguito al fenomeno della concentrazione dei capitali, visibile soprattutto nel decollo dell’industria delle ferrovie, e quindi della nascita dei cartelli e delle società per azioni, si assiste alla dissociazione delle due figure del proprietario e del gestore, e quindi alla separazione di proprietà e direzione, o controllo, del capitale. Il ruolo della finanza e del credito in questo processo cresce a dismisura, e la borsa o mercato borsistico ne è il principale effetto collaterale. Prima del Capitale finanziario di Hilferding (1910), l’opera che esamina in dettaglio il nuovo capitalismo, Marx aveva previsto chiaramente questa metamorfosi, e Engels stesso aveva individuato nella Borsa “il rappresentante più notevole della produzione capitalistica”. Queste parole di Engels sono del 1894, lo stesso anno della composizione del saggio di Weber. E in realtà Weber si muove entro lo stesso quadro culturale di riferimento del marxismo. Anche la sua nozione di capitalismo è quella di una società in cui la produzione, diversamente che nella società patriarcale/medievale, è volta non al consumo, ma allo scambio, col risultato che la ricchezza di questa società, come scrive Marx in apertura del Capitale, “si presenta come una immane raccolta di merci”. Ne consegue che il concetto di capitale di Weber non è quello dello scuola austriaca, da Böhm-Bawerk a Hayek fino ai teorici di Bad Godesberg, ma resta entro i canoni dell’economia classica. Quello che differenzia Weber dal marxismo è l’assenza della filosofia hegeliana, che in Marx, sia pure trasformata, si innerva profondamente nella lettura del concetto di merce, finendo per mettere in luce la profonda irrazionalità o «contraddittorietà» del processo di produzione capitalistico. In Weber, al contrario, la Borsa, in cui si incontrano e ottengono equilibrio la domanda e l’offerta delle merci, è la migliore espressione della razionalità dell’intero sistema.
Traspare, dalle pagine del saggio di Weber, una profonda simpatia verso il nuovo parto del modo di produzione capitalistico, che viene studiato nei minimi dettagli come lo scienziato studia una forma di vita appena scoperta. La lettura della Borsa può risultare quindi piacevole e a tratti anche divertente. La descrizione delle accanite contrattazioni tra acquirenti e venditori, ad esempio, ricorda le scene finali di Una poltrona per due, il film di John Landis con Dan Aykroid e Eddie Murphy. Tanto più che in entrambi i casi emerge, più o meno consapevolmente, il carattere ambivalente o “demoniaco” di tutto il sistema, in cui ha preso corpo il “destino” dell’Occidente.
Luciano Albanese