“LA BASTARDA DI ISTANBUL” AL TEATRO POLITEAMA DI CASCINA
Il secondo appuntamento del Cartellone al Teatro Politeama di Cascina per la Stagione 2018/19 è stato sabato 27 ottobre con “La Bastarda di Istanbul”, tratto dal best seller di Elif Shafak, premio Persefone 2016 come migliore spettacolo teatrale e a Serra Yilmaz come migliore interprete femminile. La produzione è di Pupi e Fresedde del Teatro di Rifredi, con costumi di Serena Sarti, luci di Alfredo Piras ed elementi scenici di Tuttascena. La riduzione teatrale di Angelo Savelli, sui palcoscenici dal 2015, continua a raccogliere consensi e ad attirare un pubblico molto vario per età.
Appena il sipario si apre lo spettatore, grazie alle video-scenografie di Giuseppe Ragazzini, è subito portato in un altro paese e si sente rapito da un’atmosfera molto suggestiva. Il racconto in terza persona delle sorelle protagoniste e della loro madre, rende partecipi di ciò che è stata la storia della famiglia Kazanci e di ciò che è diventata la loro vita. Una famiglia insolita la loro, un singolare gineceo, in cui Mustafà (Riccardo Nardini), unico maschio, viene viziato e protetto per cercare di sottrarlo alla inesorabile sorte che ha colpito tutti gli uomini della famiglia. Ognuna di queste donne è come se incarnasse una delle tante sfaccettature del mondo femminile: l’attaccamento alla tradizione e la propensione per l’accudimento familiare della madre Gulsum (Marcella Ermini), il riserbo e l’austerità di Cevriye (Fiorella Sciarretta), la nota di follia mista all’ipocondria di Feride (Monica Bauco), la sensualità e il desiderio di ribellione di Zeliha (Valentina Chico) e l’ironica saggezza di Banu (Serra Yilmaz). La loro vita si srotola come fosse uno dei tappeti che decora la loro casa, accogliendo chi ascolta i racconti in un abbraccio multietnico, e fa conoscere oltre alla loro anche la storia di un popolo, anzi di due quello turco e quello armeno, dei loro conflitti, incomprensioni ed inevitabili tragedie, dove “il passato non passa mai”. A ogni cambio di scena il racconto si alterna a vivaci dialoghi e come mutano gli stati d’animo dei personaggi, altrettanto fanno le emozioni di chi è in sala.
Un testo denso di contenuti, dove non mancano la riflessione su temi e vicende lontane ma che possono appartenere ad ognuno di noi, i momenti di ilarità, la commozione fino al colpo di scena e all’epilogo che lasciano lo spettatore senza parole e con il cuore trafitto. Il dramma di Zeliha, un segreto mai svelato che soltanto Banu conosce. Il motivo per cui la giovanissima Asya (Diletta Oculisti) non conoscerà mai l’identità del padre e il perché la sua vita sia legata a doppio filo con la sua cugina acquisita Armanoush (Elisa Vitiello). C’è davvero della magia in questo spettacolo e non soltanto perché Zia Banu a un certo punto della sua vita ha deciso di diventare una chiaroveggente, ma perché con le sue frasi lapidarie racconta verità inequivocabili, persino l’ingiusta necessità del male; ed è come se leggesse dentro il suo pubblico, svelando ora uno ora l’altro dei misteri che abitano l’animo umano. La sua voce racconta una vicenda che sa di antico, ma è invece moderna ed attualissima, preziosa come la spilla di rubini a forma di melagrana, il cui dono ad Armanoush chiuderà il cerchio della storia delle sue origini. In un “misto tra oblio e ricordo”, gli abili interpreti sono amalgamati tra loro come gli ingredienti dell’ashure, il dolce di Noè, molto amato in casa Kazanci. Un dolce che, come la vita, ha in sé anche l’amaro, in questo caso delle mandorle, e finirà addirittura per rappresentare un’ineluttabile nemesi.
Francesca Padula